Nello scontro fra il sindacato delle toghe e Matteo Renzi qualcuno ha visto la prosecuzione della “guerra dei vent’anni” fra magistratura e politica. Ma la guerra è almeno di trent’anni, non essendo cominciata nel 1994 con l’arrivo di Silvio Berlusconi alla guida del governo, e con le iniziative giudiziarie assunte a tamburo battente contro di lui. E neppure nel 1992, con l’esplosione di Tangentopoli e la fine giudiziaria della cosiddetta Prima Repubblica.
Risale al 3 ottobre 1985 il no clamoroso opposto da Francesco Cossiga al tentativo del Consiglio Superiore della Magistratura di discutere e approvare un documento di censura contro il presidente del Consiglio allora in carica, Bettino Craxi. Che aveva osato condividere e rilanciare le critiche di Ugo Intini e altri esponenti del Partito Socialista alle indagini e ai processi sul mortale attentato terroristico del 1980 all’inviato del Corriere della Sera, e simpatizzante del Psi, Walter Tobagi. I cui assassini se l’erano cavata a buon mercato.
Nella sua doppia veste di presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura, Cossiga volle difendere le prerogative costituzionali e politiche del capo del governo. Sui cui giudizi e iniziative avrebbero potuto pronunciarsi solo le Camere, confermandogli o revocandogli la fiducia.
Qualche giorno dopo quell’intervento lo stesso Cossiga mi disse di avere voluto non solo tutelare il presidente del Consiglio, ma anche “vendicare” – sì, proprio “vendicare” – un suo collega di partito che forse non gli sarebbe stato neppure grato. Ma chi?, gli chiesi. E lui mi fece il nome di Flaminio Piccoli, ricordandone un “penoso” intervento di alcuni anni prima nel comitato direttivo del gruppo democristiano della Camera come presidente.
Vittima, secondo Cossiga, delle forti pressioni ricevute dai magistrati per l’approvazione di un provvedimento cui tenevano molto per i vantaggi economici che ne avrebbero ricavato, Piccoli disse a chi opponeva resistenze: “Oh, questi ci arrestano tutti”. Eppure erano tempi in cui l’immunità parlamentare era ancora quella fissata nel 1947 dai costituenti, che costringeva i magistrati a chiedere l’autorizzazione del Parlamento non solo ad arrestare ma anche a procedere nelle indagini, quando vi incorreva un deputato o un senatore. La riduzione dell’immunità parlamentare, non tale tuttavia da eliminarla per l’arresto, sarebbe arrivata molto dopo, nel 1993, sotto il nubifragio di Tangentopoli.
Sono trent’anni e più, quindi, che magistratura e politica si fanno la guerra, con battaglie prevalentemente vinte dalle toghe, ma con l’aiuto di politici disposti ad aiutarle per opportunismo, paura o insipienza, secondo le circostanze.
Forse incoraggiato dal soccorso ricevuto da Cossiga nel 1985 nello scontro con il Consiglio Superiore della Magistratura, Craxi l’anno dopo sostenne le iniziative referendarie dei radicali in materia anche di responsabilità civile dei magistrati, per togliere loro il privilegio di non rispondere degli errori di tasca propria. Fu anche per evitare nella primavera del 1987 quel referendum che l’allora segretario democristiano Ciriaco De Mita portò alle estreme conseguenze un conflitto latente da tempo con Craxi provocandone la caduta, con il pretesto di una “staffetta” con la Dc a Palazzo Chigi promessa e non mantenuta. Si arrivò così alle elezioni anticipate. Ma il leader socialista dopo il voto puntò i piedi e pretese da De Mita, come condizione per la formazione di nuovo governo presieduto dal democristiano Giovanni Goria, che fosse fissato per l’autunno di quello stesso anno il tanto temuto referendum. Che fu non vinto, ma stravinto dai sostenitori della responsabilità civile delle toghe.
I magistrati riuscirono tuttavia in pochi mesi, nella primavera del 1983, a vanificare l’esito referendario ottenendo una legge di sostanziale e duro intralcio alla loro responsabilità. Una legge che ora Renzi, da Palazzo Chigi, vorrebbe finalmente cambiare e che fu allora gestita curiosamente da un ministro della Giustizia socialista, Giuliano Vassalli. Di cui Craxi aveva troppo rispetto personale per mettersi di traverso. Pertanto egli subì, ma il cedimento non gli avrebbe risparmiato dopo dieci anni, scoppiata Tangentopoli, l’accanimento giudiziario riconosciuto nel 2010 da Giorgio Napolitano scrivendo dal Quirinale alla ormai vedova Craxi della “durezza senza uguali” riservata al marito dai tribunali, particolarmente quello di Milano. Era intanto già in corso da tempo, nella guerra, e proprio a Milano, il turno di Berlusconi.
Resta ora da vedere se è già cominciato il turno anch’esso negativo di Renzi, i cui uomini nel Pd emiliano sono i primi feriti, o se la guerra finalmente si chiuderà con il ripristino del primato della politica. Che non equivale necessariamente al sacrificio della legalità, come vorrebbero far credere i magistrati e i loro corifei.
Francesco Damato