Renato Brunetta ha ragione: il premier Matteo Renzi, alle Camere per illustrare i programmi dei suoi prossimi Millegiorni, ha detto poco o nulla su come riavviare la crescita (posto che sia possibile farlo per decreto), su come e quanto tagliare le imposte, su come e dove ridurre la spessa pubblica, su come dare seguito agli auspici (pardon, ai diktat di Francoforte e Bruxelles) sulla rottamazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, evocando peraltro un decreto e quindi sfidando la sinistra sindacale e conservatrice.
In verità anche altri premier, in occasioni simili, non hanno offerto troppi dettagli preferendo – come usava fare di solito Silvio Berlusconi – indicare avversari e criticoni per dare lustro ai pensieri e alle azioni del governo. Renzi, in questo, è stato “berlusconiano”. Ha rivendicato come un successone rivoluzionario la controversa riforma del Senato come esempio di innovazione dei tanto deprecati parlamentari, mentre ha additato i conservatori delle “rendite di posizione”: dai sindacati che sbraitano per il dimezzamento dei permessi sindacali, ai magistrati che protestano per la riduzione delle ferie, fino ai burocrati di Stato per il tetto agli stipendi. Sculacciate pure a quei giornali (non lo ha nominato, ma il riferimento era al Corriere della Sera diretto da Ferruccio de Bortoli) che si fanno video citofonare gli avvisi di garanzia dalle Procure. Ramanzina collegata a una sana difesa di un campione nazionale come Eni che deve lavorare per fare investimenti e profitti – anche in nome dell’Italia, oltre che degli azionisti – in notorie culle del diritto tipo la Nigeria (letture consigliate: le analisi di Gabriele Capolino e di Guido Salerno Aletta, oltre a un corsivo di Leo Soto).
Diciamolo francamente: parole, sculacciate e ramanzine da leader politico di centrodestra come il primo Berlusconi. Forse il fondatore di Forza Italia, per riverenza verso Mario Draghi, non avrebbe schernito coloro (come il presidente della Bce) che indicano all’Italia come modello riformatore quello spagnolo; in questo Renzi è della stessa opinione del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha rottamato un bel po’ di dogmi turbo liberisti in una intervista recente a Repubblica: come si può prendere a riferimento un Paese come la Spagna che ha quasi il doppio della disoccupazione italiana?, si è chiesto Renzi. Domanda non peregrina, in effetti. Tanto che ci torniamo domani con un approfondimento.
Per il resto, nei discorsi di Renzi in Parlamento non sono mancati, anzi, più o meno espliciti auspici di collaborazione con l’opposizione di Forza Italia su riforme e legge elettorale all’insegna del maggioritario e del bipolarismo. Così com’è parsa anche un po’ berlusconiana la soave minaccia “voto anticipato se il Parlamento non fa le riforme”. Ma chissà se un disastrato e spappolato centrodestra sarebbe in grado di gareggiare in eventuali elezioni anticipate. A proposito, leopoldiamo?