“Tra i grandi paesi dell’Euro-zona la Spagna potrebbe registrare una ripresa degli investimenti vigorosa nei prossimi due anni. Soprattutto per effetto di una combinazione di riforme favorevoli alle imprese e di una riduzione della pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche e delle società”.
Le valutazioni lusinghiere espresse dal presidente della Banca centrale europea Mario Draghi alla vigilia del recente vertice dei responsabili economici dei governi Ue sembrano promuovere la penisola iberica a luogo propizio per attrarre risorse produttive private e pubbliche. Chiavi di volta per rimettere in moto la domanda di oggi e l’offerta nel futuro.
UN PAESE IN RISALITA
È Il Sole 24 Ore a rimarcare il trend positivo del PIL spagnolo, che torna a crescere dopo i riflessi traumatici della crisi immobiliare e creditizia.
Elemento tanto più rilevante in una nazione che presenta un Prodotto interno lordo inferiore di circa mille miliardi di euro rispetto ai 1.600 miliardi creati nel nostro paese. E che appare molto più legata dell’Italia ai mercati globali e all’intervento di Bruxelles.
Ma forse sono propri i punti di fragilità, scrive il giornale di Confindustria, ad aver promosso nei governi di Madrid strategie virtuose orientate allo sviluppo economico.
I SEGRETI DELLA RINASCITA
La testata diretta da Roberto Napoletano passa in rassegna i fattori che hanno favorito la ripresa del paese mediterraneo.
Il primo è l’evidente stabilità politica, con esecutivi mono-partitici forti di una robusta e uniforme maggioranza parlamentare e la certezza di giungere al termine della legislatura con la realizzazione di un programma incisivo e di ampio respiro.
UN PAESE ATTRAENTE
Il secondo fattore è rappresentato dal volume di investimenti diretti dall’estero: 105 miliardi di euro negli ultimi quattro anni. Risorse preziose per acquisizioni e nuovi stabilimenti, a fronte dei 70 miliardi raggiunti dall’Italia nello stesso arco di tempo.
Tra le attività privilegiate nella penisola iberica spicca la produzione automobilistica, con grandi gruppi stranieri stimolati da costi e tassazione vantaggiosi, flessibilità nelle regole del lavoro, stabilità generale dell’ambiente economico. La Spagna è così diventato il secondo paese costruttore di macchine in Europa e l’undicesimo nel mondo.
UN LAVORO SENZA ARTICOLO 18
Terzo requisito per la rinascita produttiva di Madrid è la flessibilità nel lavoro realizzata dai governi socialisti e da quelli popolari.
L’obiettivo del premier conservatore Mariano Rajoy, spiega Il Sole, è aumentare tale dinamicità in uscita nel breve periodo, per dare fiato alle imprese, far ripartire l’economia e creare posti di lavoro in una fase successiva.
Così sono stati dimezzati i costi dei licenziamenti per le imprese in difficoltà economica in una realtà priva dell’Articolo 18.
Inoltre, come ha sottolineato mesi fa il quotidiano il Foglio, in Spagna è stata approvata una norma che dà la possibilità di licenziare per motivi economici, nel caso di enti pubblici in perdita, tutti quei dipendenti statali che non sono entrati nella Pubblica amministrazione per concorso. Inoltre a Madrid, a partire dal 2010 – come sottolinea una ricostruzione del sito della Cgil-Funzione Pubblica – sono stati ridotti del 5% i salari dei dipendenti pubblici. Per questo ieri sera nella nuova trasmissione DiMartedì condotta su La 7 da Giovanni Floris, Debora Serracchiani, vicesegretario del Pd, a chi evocava il modello spagnolo ha detto: dunque volete che licenziamo i dipendenti statali e tagliamo gli stipendi nella pubblica amministrazione?
IL PARADOSSO IBERICO
Altro tratto distintivo dell’economia spagnola è la forza delle esportazioni, cresciute in agosto del 3,6 per cento rispetto all’anno passato. Nel nostro paese invece l’export è crollato nello stesso periodo del 4,4 per cento.
Al contrario di quanto accaduto nel nostro paese inoltre, il fallimento del comparto edilizio ha favorito nell’opinione pubblica iberica la piena consapevolezza della gravità della crisi finanziaria ed economica.
DOSSIER PRIVATIZZAZIONI
Consapevolezza che si è rivelata determinante nel portare a compimento un lungo e coraggioso percorso di apertura al mercato e di privatizzazione di grandi realtà industriali.
Accanto alla cessione totale di Telefonica, realizzata attraverso due offerte pubbliche nel 1995 e nel 1999 e fondamentale per farle raggiungere nel 2012 ricavi superiori ai 62 miliardi e un utile di 4,4 miliardi, è stato venduto ai privati l’intero pacchetto azionario della compagnia aerea di bandiera Iberia. La quale nel 2010 si è fusa con British Airways in un gruppo capace di fatturare 15,4 miliardi con un utile di 923 milioni.
I LEGAMI CON BRUXELLES
Capitolo finale ma altrettanto cruciale per il salvataggio e la ripresa del paese mediterraneo riguarda i considerevoli aiuti elargiti dall’Unione Europea soprattutto su impulso della Germania di Angela Merkel.
Un flusso di risorse pari a 41 miliardi – prelevate dalle tasche dei contribuenti del Vecchio Continente – grazie al quale il tessuto bancario spagnolo ha riacquistato solidità.
QUALE STRADA PRENDERE?
Madrid può costituire un modello economico per la rinascita produttiva dell’Italia? A respingere tale suggestione è l’economista e analista finanziario Mario Seminerio, autore del blog Phastidio.net.
NESSUN MIRACOLO
Lo studioso ha focalizzato l’attenzione sul +0,4 per cento – equivalente a un +1,6 annuo – rilevato dalla Banca centrale iberica nell’andamento del PIL nazionale nel primo trimestre 2014. A suo giudizio la cifra non è così lusinghiera.
Metà della crescita registrata è riferita al commercio estero: “Ma la buona performance nella bilancia commerciale è in gran parte frutto di una contrazione dell’import che è doppia rispetto all’export. E in forte calo restano gli ordinativi industriali prodotti dalla richiesta interna”.
L’elemento paradossale è che il traino del PIL iberico non è stato prodotto dall’incremento degli investimenti produttivi privati – meno 3,3 per cento nelle costruzioni – bensì dalla crescita dei consumi delle amministrazioni pubbliche.
ARTIFICIO FINANZIARIO?
Non è tutto. Anche dal punto di vista contabile Madrid rivela molte falle. Il rapporto del 6,6 per cento registrato a fine 2013 tra deficit e PIL, e vicino al target concordato con la Ue dopo l’ennesima agevolazione, “sarebbe stato conseguito con una serie di acrobazie contabili come l’utilizzo del fondo di stabilizzazione delle pensioni e del Fondo Fornitori”. Finalizzato a saldare i debiti della pubblica amministrazione verso le imprese private.
A tutti coloro che esaltano la Spagna “perché ha fatto le riforme, mica come noi”, Seminerio ricorda come al tessuto imprenditoriale iberico continui a mancare il credito. E come lo stesso ministro dell’Economia Luis de Guindos abbia definito “debole, fragile e diseguale” la ripresa del paese.
CAPITOLO RIFORME STRUTTURALI
Forti perplessità sul “modello spagnolo” sono state manifestate di recente dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.
Il quale in un’intervista rilasciata a Federico Fubini di Repubblica, scorge numerose analogie nelle “riforme strutturali” messe in atto a Roma e a Madrid negli ultimi tempi.
Consonanze che ai suoi occhi si possono cogliere nel terreno della giustizia civile, del mercato del lavoro, delle pensioni, della concorrenza, della regolamentazione degli scambi di capitali”.
COME STABILIZZARE GLI INTERVENTI NORMATIVI
Al giornalista che gli chiede perché la Spagna cresca a un ritmo del 2 per cento e il nostro paese resti prigioniero della recessione, il numero uno dell’Istituto di Via Nazionale replica ricordando il tasso abnorme di persone prive di lavoro registrato a Madrid: un 25 per cento di disoccupazione a fronte del 12,5 italiano.
L’importante, rileva il governatore, è nella garanzia di un’attuazione tempestiva, certa e permanente degli interventi radicali in campo economico-sociale. La differenza, in altre parole, risiede nella forza politico-istituzionale dell’azione dei governi.
ELOGIO IPOCRITA
Riflessioni che trovano affinità con il ragionamento critico svolto su Repubblica da Daniel Gros, economista tedesco già consulente del Fondo monetario internazionale e della Commissione Ue, oggi a capo del Centre for European Policy Studies.
A Eugenio Occorsio che gli domanda se con le agognate riforme strutturali l’Italia potrà ottenere dal governo tedesco flessibilità nei parametri di bilancio come avvenuto per Madrid, lo studioso risponde con queste parole: “Mi sembrano ipocriti tutti questi abbracci alla Spagna, paese con il 25 per cento di disoccupazione, solo perché un paio di riforme è riuscito a farle”.
NESSUN MODELLO SPAGNOLO
Ma la bocciatura più clamorosa è giunta poche ore fa dal più alto responsabile politico del nostro paese. Nel suo intervento parlamentare relativo al programma dei mille giorni di governo, Matteo Renzi rifiuta di ritenere la Spagna un esempio per l’Italia.
Ricorda la cifra eloquente delle persone senza lavoro registrate nella nazione mediterranea (25% contro il 12,6% dell’Italia, come tasso di disoccupazione). E, rivolto a chi indica Madrid come la bussola da seguire, esprime preoccupazione per “il modello culturale ed economico che oggi vogliamo affrontare e realizzare”.