Anche nella Chiesa cattolica si dibatte sui metodi da usare per estirpare il flagello jihadista in medio oriente, che da mesi ha costretto all’esodo migliaia di cristiani e yazidi dalla piana di Ninive in Iraq e, a forza di decapitazioni e di massiccia quanto organizzata propaganda, sta allarmando i confinanti arabi.
Davanti al dramma dei perseguitati, i vescovi cristiani autoctoni (caldei e ortodossi) da tempo gridano contro l’Occidente tiepido, accusato di non accorgersi di quanto sta realmente accadendo in vicino e medio oriente. Dal patriarca di Baghdad agli altri presuli, si è assistito a una mobilitazione imponente, culminata negli incontri dei patriarchi orientali negli Stati Uniti e a Ginevra. Si discute quanto lecito sia l’uso delle armi per fermare quello che il Papa, lo scorso agosto, aveva definito “aggressore ingiusto”.
I CONFINI DELLA GUERRA GIUSTA
Le posizioni sono diverse: c’è chi spiega che i raid sono leciti per fermare il genocidio (è il caso dell’osservatore permanente presso le Nazioni Unite, mons. Silvano Maria Tomasi) e c’è chi come il cardinale Oscar Maradiaga ribadisce che “l’intervento armato contro lo Stato islamico non è la strada giusta per cercare la pace”. Su Formiche.net, lo storico della filosofia Benedetto Ippolito, intellettuale cattolico, ha scritto che la guerra, seppure sia una tragedia, “talvolta non può essere evitata” e “mai può essere subita”. A confermarlo sono “duemila anni di cristianesimo e tutta la trazione greco-latina, nonché la dottrina giuridica dello Stato moderno”. Per questo, aggiunge Ippolito, “dobbiamo partecipare con il cuore, con lo spirito e con tutta la nostra fede attiva alla battaglia per difendere la vita, la libertà, la dignità della nostra civiltà e i suoi valori da chi vuole cancellarli, annientarli, distruggerli”. Nel dibattito avviato da Ippolito, si è inserito anche Vittorio Emanuele Parsi, ecco l’intervista.
“NON E’ GUERRA TRA RELIGIONI”
Intervistato dal periodico Credere, padre Francesco Occhetta, gesuita e redattore per la Civiltà Cattolica, spiega la sua posizione: “Davanti agli orrori che si stanno consumando in medio oriente è necessario intervenire al più presto per bloccare un nuovo genocidio”. Fondamentale è però una distinzione chiara e netta tra la legittima difesa e una guerra di civiltà: “Va sventato il rischio di considerare questi disordini come uno scontro di civiltà, o, ancora peggio, una guerra tra religioni”. Occhetta si domanda se “siamo davvero di fronte a una guerra tradizionale”, e la risposta che si dà è negativa: “La strategia violenta e fondamentalista dell’Isis, che non è combattuta da Stati o tra Stati, non è una guerra ma un conflitto armato. E nasce tra musulmani”. Il parallelo è quello del Kosovo, spiega, ricordando che “in questi casi la Chiesa giustifica un intervento armato attraverso azioni di ingerenza umanitaria e di responsabilità a proteggere”. La Chiesa, sottolinea padre Occhetta, “ha rivisto la sua posizione dottrinale sulla guerra e la pace a partire dalla metà del secolo scorso, quando la guerra tradizionale ha cambiato la sua natura e si è trasformata in guerra moderna, quella dell’era nucleare”.
“UN ATTACCO CONTRO LO STATO ISLAMICO SAREBBE IL MALE MINORE”
Dopo il 1991, “anche la dottrina della guerra giusta è diventata desueta. Era pensata per limitare le guerre attraverso una giusta causa, una difesa che fosse proporzionata all’attacco subito e soprattutto dichiarata da un’autorità legittima. Nei conflitti attuali queste condizioni non sono più presenti”. Ed ecco il punto cruciale: “Nel caso specifico dell’Isis, un attacco sarebbe giustificato come male minore, una possibile omissione peserebbe sulle coscienze dell’intera comunità internazionale”.
L’INERZIA DELLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE
Quel che serve è celerità, visto che “è sotto gli occhi di tutti l’inerzia dell’ONU, bloccato dai veti incrociati tra Stati, sia dell’Europa”. L’uso della forza, a ogni modo, “deve essere accompagnato da una prospettiva di ricostruzione su tutti i piani”, aggiunge il teologo: “Sociale, politico ed economico. Un intervento proporzionato per fermare l’aggressore va accompagnato con un intervento diplomatico dell’ONU per scongiurare una pulizia di tipo etnico-religioso. No al massacro di cristiani e yazidi ma anche no a paesi o a enclaves dati esclusivamente ai cristiani o ad altre minoranze”.