L’obiettivo prioritario per rompere la stagnazione economica in Italia e in Europa è rendere più flessibile il lavoro o aumentare la domanda interna? L’interrogativo scaturisce dall’analisi che l’economista ed ex ministro del bilancio Giorgio La Malfa ha svolto sul Corriere della Sera riguardo la filosofia ispiratrice delle strategie messe a punto dal presidente della BCE Mario Draghi.
A giudizio dell’ex segretario del Partito repubblicano l’intervento tenuto dal governatore dell’Eurotower un mese fa a Jackson Hole negli Stati Uniti avrebbe fornito una chiara risposta prospettando una direzione di marcia neo-keynesiana. Formiche.net ha voluto interpellarlo per capirne di più.
Il programma della Banca centrale europea per l’Italia è sempre fondato sulla centralità delle riforme strutturali nel terreno della spesa pubblica e del mercato del lavoro?
La posizione di Mario Draghi è stata esposta in modo netto nel celebre discorso del 22 agosto negli Usa. E riguarda l’Unione Europea nel suo complesso. Il governatore ritiene che l’elevata disoccupazione registrata nel Vecchio Continente presenti una componente strutturale legata alle rigidità del mercato del lavoro e una componente ciclica. La prima si può affrontare attraverso ricette di flessibilità. La seconda si deve risolvere con l’aumento della domanda aggregata e dei consumi.
Qual è la novità?
Per la prima volta il presidente della BCE ammette l’esistenza della disoccupazione ciclica e aggiunge che ora è prioritario affrontare il tema della richiesta di beni e servizi. Nell’intervento tenuto a Milano 10 giorni fa alla vigilia del vertice ECOFIN, Draghi ha voluto rimarcare la necessità di realizzare contemporaneamente adeguate politiche per rinvigorire il fronte dell’offerta aumentando la competitività e produttività delle economie nazionali. Una correzione sensibile seguente alle critiche giunte dalla Germania per le parole pronunciate Oltreoceano.
È falsa la vulgata di una BCE favorevole alla flessibilità di bilancio nell’Euro-zona in cambio di interventi radicali su spesa e debito?
Penso di sì. Nella diagnosi compiuta in terra nordamericana, Mario Draghi ha prefigurato una politica fiscale espansiva entro i margini di flessibilità finanziaria prevista dai trattati Ue. Il che vuol dire che Italia ha pochi spazi di iniziativa. Mentre nazioni come la Germania li devono cogliere e utilizzare per favorire la ripresa economica continentale. Favorendo lo stesso risanamento dei conti dei paesi più in difficoltà. È il richiamo continuo che gli Usa rivolgono al governo di Berlino. Se fossi al posto di Matteo Renzi, sarei andato personalmente da Angela Merkel per ribadire tale esortazione. Aggiungendo che altrimenti l’Italia è costretta a violare i vincoli comunitari.
Mario Draghi è ritornato nel solco culturale tracciato dai suoi maestri Federico Caffè e Franco Modigliani?
Lo ha scritto l’economista premio Nobel Paul Krugman poche settimane fa. Ritengo però che sia l’analisi della realtà oggettiva ad aver spinto Draghi a proporre un cambiamento di strategia economica. Erano troppo evidenti le conseguenze fallimentari delle teorie fallaci come l’austerità espansiva, teorizzata dagli studiosi liberisti dell’Università Bocconi e adottati dalle autorità politico-finanziarie internazionali ed europee.
Si riferisce a Francesco Giavazzi e Alberto Alesina?
Esattamente. Peraltro i due economisti hanno clamorosamente cambiato idea, come rivela il loro recente articolo scritto sul Corriere della Sera. Documento i cui autori, per favorire la ripresa produttiva, propongono un taglio di tasse per 30 miliardi coperto da 10 miliardi di riduzione della spesa pubblica. Quindi con un aumento immediato del deficit. Un atteggiamento sorprendente ad opera di chi per lustri ha invocato il totem assoluto dell’abbattimento del disavanzo e della copertura completa di ogni operazione di finanza pubblica. Trovo legittimo abbracciare una diversa religione, ma bisognerebbe spiegare il perché e chiedere scusa per gli errori del passato.
L’analisi auto-critica riguarda anche l’euro?
È possibile che la BCE si sia resa conto drammaticamente che l’euro è una moneta fragile, e che una politica monetaria espansiva da sola non basta senza un’adeguata strategia fiscale. Lo stesso governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha riconosciuto l’enorme debolezza di una valuta unica priva di Stato. Elemento che per 15 anni e fino a poco tempo fa tutte le istituzioni comunitarie avevano negato con pervicacia.
La BCE è stretta nella morsa tra il richiamo del suo presidente al modello Federal Reserve e il peso nevralgico del presidente della Bundesbank Jens Weidmann?
Sì. Nel corso degli anni Novanta proposi invano di inserire nell’apertura dello Statuto della Banca centrale europea la lotta contro disoccupazione e la politica degli investimenti accanto alla strategia anti-inflazione e per tassi di interesse più bassi. L’aspirazione era quella di conferirle un mandato ben più ampio rispetto alla garanzia della stabilità dei prezzi.
Non è più possibile cambiarlo?
Il testo fondamentale della BCE è scritto nel “marmo” del Trattato di Maastricht e ci vorrebbe l’accordo unanime degli Stati membri per riscriverlo. Manca la flessibilità verso i mutamenti storici che caratterizza l’evoluzione delle istituzioni statunitensi.
La complessità della strategia intrapresa da Mario Draghi è finalizzata a una ricerca di adesioni in vista di un’eventuale candidatura al Quirinale?
Fare processi alle intenzioni toglie credibilità al terreno delle analisi economiche. Nel corso degli anni il presidente della BCE ha messo in luce il retaggio di problemi tuttora aperti nel nostro paese come il debito pubblico. Fattore che pone l’Italia in condizione di maggiore difficoltà nel realizzare politiche espansive. Ma la retorica germanica della priorità assoluta dei sacrifici – propinata dal governo di Mario Monti – ha peggiorato la crisi iniziata con l’ultima fase dell’esecutivo di Silvio Berlusconi.
L’Italia però ha poche carte nell’esortare la Germania a mutare rotta.
Non possiamo predicare a Berlino le strategie da adottare, ma se proseguiamo con la ricetta del fare prima i compiti assegnati dall’Ue e poi pensare allo sviluppo rischiamo una recessione prolungata. La strada da privilegiare passa piuttosto per una svalutazione dell’euro allo scopo di favorire le esportazioni italiane e dei paesi più vulnerabili.
Il governo italiano si sta muovendo nella direzione giusta?
Assolutamente no. Renzi persevera, in nome di un’ostilità radicata verso le organizzazioni sindacali, nell’errore compiuto da Monti. E lo fa tramite una riforma del lavoro fondata sul superamento dell’Articolo 18 che ritengo scellerata.