La dicono lunga e chiara i tempi, non certamente casuali, scelti da Sergio Marchionne per ribadire e rafforzare la sua fiducia in Matteo Renzi, parlando a New York dopo l’editoriale di Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera duramente critico verso il presidente del Consiglio. E senza aspettare la visita dello stesso Renzi programmata per venerdì nella sede di Auburn Hills della sua Fiat Chrysler Automobiles.
Le parole di Marchionne su Renzi (“A me questo ragazzo piace, ha un coraggio enorme”) fanno letteralmente a cazzotti con “la personalità ipertrofica” appena rimproverata al presidente del Consiglio dal direttore sulla prima pagina del numero di esordio del Corriere della Sera nella sua rinnovata veste grafica, e quindi in un momento di massima esposizione del primo quotidiano italiano. Una “personalità ipertrofica” che – ha scritto de Bortoli – dovrebbe temere “soprattutto se stesso”, guardarsi “allo specchio” come un “nemico”, darsi finalmente una squadra vera di collaboratori, e non di cortigiani, e chiarire “il patto” stretto con Silvio Berlusconi, anche per liberarlo “dallo stantio odore di massoneria”.
Ad aggravare, e non ad attenuare, lo schiaffo o lo scontro ha contribuito la risposta di Marchionne al giornalista che gli chiedeva pleonasticamente se avesse letto l’editoriale uscito parecchie ore prima sul Corriere. Dicendo che “no, non lo leggo normalmente”, in veste di azionista forte proprio del Corriere l’amministratore delegato della Fiat, ora Fiat Chrysler, non ha voluto essere certamente carino né con il giornale, che è apparso snobbato nel suo insieme, né con il suo direttore, per i cui articoli egli ha sicuramente voluto ostentare disinteresse. Se poi non voleva dare questa impressione, la figura che risulta di Marchionne è ancora peggiore, potendosi o addirittura dovendosi sospettare ch’egli non sappia valutare le parole che dice.
Una cosa comunque risulta abbastanza evidente da questo scontro a distanza fra l’azionista forte e il direttore uscente del Corriere. E se è una evidenza frutto solo di malizia, vale forse quello che soleva dire Giulio Andreotti, convinto che a pensare male si faccia peccato ma s’indovina: non si è mai capito bene se spesso o sempre.
Risulta evidente, in particolare, il motivo per il quale si è rotto nei mesi scorsi il rapporto fiduciario tra l’azionista forte, ripeto, del Corriere e il suo direttore, sino ad annunciarne la sostituzione per il 30 aprile dell’anno prossimo, sia pure associandolo, o fingendo di associarlo, nella scelta del successore. Deve essere stato proprio il giudizio su Renzi a dividere Marchionne e de Bortoli, essendo nota già da tempo una certa diffidenza del direttore del Corriere per il troppo rampante segretario del Pd e poi anche presidente del Consiglio. Una diffidenza confermata, prima ancora del suo editoriale di mercoledì, da interventi critici degli abituali editorialisti del giornale milanese di via Solferino, in qualche modo compensati solo dalle cronache politiche, particolarmente da quelle sostanzialmente entusiastiche di Maria Teresa Meli.
Non è la prima volta, d’altronde, che de Bortoli perde la direzione del Corriere per contrasti con l’azionista forte di turno nel giudizio o nei rapporti con il presidente, anche lui di turno, del Consiglio dei Ministri.
Nominato direttore nel 1997 succedendo a Paolo Mieli, de Bortoli fu praticamente disarcionato nel 2003 da Cesare Romiti, il famoso ex amministratore delegato della Fiat, dopo una serie di scontri anche epistolari e pubblici avuti con difensori e amici dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Tornato alla direzione del Corriere nel 2009, succedendo anche questa volta a Paolo Mieli, espostosi troppo a favore di Romano Prodi nelle elezioni di tre anni prima, egli si è trovato in conflitto ormai chiarissimo e insanabile con Marchionne su Renzi, e sul patto stretto al Nazareno, nella sede del Pd, fra questi e Berlusconi: un patto rinnovato o aggiornato più volte in incontri, questa volta, a Palazzo Chigi.
Se de Bortoli abbia a questo punto la tentazione, già attribuitagli da qualcuno, di investire in politica la sua esperienza professionale, vista la natura appunto politica dei due incidenti –chiamiamoli così – occorsogli in via Solferino, è francamente difficile, o quanto meno prematuro, dire. Personalmente gli auguro di no, visto lo spettacolo non proprio esaltante della politica, anche nella versione renziana da lui così duramente, e non a torto, o non del tutto a torto, criticata.
Francesco Damato