Commedia degli equivoci o teatro dell’assurdo? La domanda nasce ascoltando le reazioni al voto di fiducia ricevuto ieri sera dal governo Renzi sul disegno di legge delega ribattezzato Jobs Act.
“Jobs Act apre spazio ai soprusi”, strepita la Cgil, aizzando la minoranza del Pd che in parte si è vergognata votando la fiducia. Cgil e minoranza Pd sono i migliori alleati di Renzi. E’ uno dei tanti paradossi della vicenda legata all’articolo 18. Articolo dello Statuto dei lavoratori mai menzionato nel testo approvato dal Senato, ma solo evocato dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
L’indubbia retromarcia – carte e documenti alla mano – sul superamento dell’articolo 18 sia rispetto all’emendamento approvato in commissione Lavoro del Senato sia rispetto al documento votato il 29 settembre dalla direzione del Partito democratico viene invece interpretata come un indubbio successo da Renzi, dai renziani del Pd e pure da Ncd, come rimarca l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Successo peraltro riconosciuto, assicura il governo, dalle parole di apprezzamento pronunziate da Angela Merkel alla conferenza sul lavoro che si è svolta a Milano ieri.
I fatti, e soprattuto i decreti delegati che approverà il governo sulla base del disegno di legge, confermeranno o meno le parole di questi giorni. Ma come suona eccessivo il trionfalismo governativo appaiono anche smodate le reazioni di sdegno della Cgil e della minoranza del Pd su un disegno di legge che, tra sussidi ampliati finora sulla carta ai disoccupati, prevalenza indicata per il contratto a tempo indeterminato da agevolare e mansioni un po’ più flessibili (ma meno flessibili rispetto all’impostazione di qualche giorno prima), potrebbe essere stato scritto da un esponente della minoranza del Pd, come sostiene con altri e più corposi concetti un esperto come Giuliano Cazzola.