Nonostante i raid della “coalizione di volenterosi” di bushiana memoria allestita da Barack Obama per scrivere un nuovo capitolo della guerra al terrore, l’Isis avanza conquistando quartiere dopo quartiere la città curda di Kobane al confine tra Siria e Turchia. Questo, per molti analisti, evidenzia in modo cristallino tutti i limiti della strategia delineata dalla Casa Bianca e dal Pentagono, il più grande dei quali potrebbe consistere nell’aver finora ignorato, nel bene e nel male, uno dei principali game changer del conflitto: Bashar al-Assad.
LE CONVINZIONI DELL’AMMINISTRAZIONE USA
In ambienti della difesa Usa (e forse anche a livello esecutivo), sottolinea preoccupato Frederic C. Hof, senior fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East di Atlantic Council, “c’è la credenza che la missione militare della campagna contro lo Stato Islamico sia quella di sconfiggere l’organizzazione in Irak e che gli attacchi servano a spianare la strada all’esercito di Baghdad e ai peshmerga curdi per sconfiggere l’Isis e ripristinare l’autorità del governo nel Paese“.
Secondo questo punto di vista, rileva l’esperto, l’importanza della Siria nel contesto della coalizione anti-IS è solo quella di sottrarre all’auto-proclamato Califfo e alle sue forze una zona considerata relativamente sicura per organizzarsi e pianificare attacchi.
UN RUOLO SOTTOVALUTATO
Non c’è dubbio che per motivi storici (ed energetici), l’Irak rivesta per Washington un’importanza di sicuro più rilevante di Aleppo. Tuttavia, spiega Hof, considerare la Siria come una sorta di campo base dal quale smontare l’Isis rischia solo di acuire la crisi di Baghdad e dei Paesi vicini.
“Il fallimento dello Stato siriano è determinato dalla strategia del regime di Assad, che ha permesso allo Stato Islamico di sorgere dalle ceneri di al-Qaeda in Irak e affermarsi in Siria“. L’Amministrazione Obama, secondo l’analista, “ha minimizzato e negato il significato di quanto stesse accadendo” nel Paese del dittatore alawita.
Diverse dichiarazioni pubbliche di Obama e del segretario di Stato John Kerry, riconosce Hof, hanno indicato “acuta consapevolezza sul ruolo di Assad nel facilitare l’ascesa dell’Isis in Siria“.
STRATEGIA POCO CHIARA
Però, se si osserva con attenzione la strategia americana, ci sono almeno due indicatori che lasciano pensare che gli Usa non prendano abbastanza seriamente questo aspetto sul piano operativo.
Il primo riguarda il ruolo dell’opposizione siriana e della possibilità di sostenerla militarmente aiutandola a realizzare un vero esercito, come suggerisce su Foreign Affairs un’analisi di Kenneth M. Pollack, senior fellow di Brookings Institution e autore di “Unthinkable: Iran, the Bomb, and American Strategy“.
Da un lato l’Amministrazione statunitense ha designato la fazione ribelle come la componente di terra dell’azione anti-Isis degli alleati in Siria, ma non chiarendo ancora nei dettagli l’entità e le caratteristiche dell’impegno di Washington nel sostenere l’addestramento di questi uomini.
Un secondo indicatore è dato da alcuni documenti ufficiali della Casa Bianca, come un fact sheet sul contrasto allo Stato Islamico datato 10 settembre in cui non c’è un vero riferimento alla necessità di un regime change, ma ci si focalizza solo sulla necessità di trovare una soluzione politica ai problemi della Siria rafforzando l’opposizione. Un’ambiguità che per gli analisti non potrà soddisfare a lungo i ribelli siriani, disposti a sostenere sul campo gli Usa solo ottenendo in cambio il supporto necessario per rovesciare la dittatura di Assad.