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Ecco perché Beppe Grillo e i Cinque Stelle non si afflosciano

Il Pd perde voti nei confronti dell’astensione, mentre torna a crescere il M5s e continua il declino di Forza Italia.

A fare le spese di questo calo di fiducia nel governo sono ovviamente in primo luogo le intenzioni di voto verso il Partito Democratico e, ancor più, il numero complessivo dei dichiaranti il voto.

La delusione delle aspettative per molti elettori potenziali del Pd (tra di essi il gradimento del governo è passato dal 95% al 75%) ha fatto si che una parte di essi ora non esprima più una propensione di voto netta per il principale partito di governo e sia andata (almeno temporaneamente) ad ingrossare le file dell’astensione e degli indecisi.

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Il calo della partecipazione, di conseguenza, favorisce i partiti più piccoli (le sinistre, ma anche i centristi) ma in questo momento ad esclusione della Lega Nord (che subisce una battuta d’arresto dopo il successo della campagna elettorale e l’incremento negli ultimi mesi).

Il Nuovo Centro Destra riesce a contenere abbastanza bene il calo di consenso, mentre Forza Italia prosegue in un lento drenaggio di voti.

Il M5s, dopo il calo post-elettorale si riporta sulla propria quota al 21%.

Si può notare nell’analisi approfondita di Lorien come si sono modificati i bacini potenziali e le intenzioni di voto di alcuni partiti principali dalla rilevazione di luglio a questa di settembre.

In particolar modo si nota l’effetto del calo di affluenza (numero di chi dichiara la propria intenzione di voto) dal 67% al 57%, che colpisce tutti i partiti (ma in particolar modo il Pd anche per un calo netto dell’”effetto Renzi”) ma non il M5s, che ormai si configura come un partito composto da un elettorato militante e quindi più fedele e meno soggetto agli effetti dell’affluenza.

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