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Perché sull’articolo 18 ho fiducia in Renzi

Signor Presidente,

Onorevoli colleghe e colleghi,

Le senatrici e i senatori del Nuovo Centrodestra voteranno con piena convinzione la fiducia richiesta non solo per una valutazione generale sulle esigenze di stabilità istituzionale e sulla qualità dell’azione di governo ma, in questo caso, ancor più per lo specifico consenso che esprimiamo al testo di riforma. Esso è stato significativamente arricchito, come ha riconosciuto il Ministro Poletti, dalla Commissione lavoro che in particolare ha introdotto la delega alla redazione di un Testo unico innovativo, semplice, sostitutivo dello Statuto dei lavoratori. E per quanto riguarda i criteri di esercizio della delega sono rilevanti gli espliciti riferimenti agli articoli 4, 13 e 18 dello Statuto che da tempo sono considerati obsoleti in quanto irrigidiscono la produzione e scoraggiano la nuova occupazione.

Alcuni si sono interrogati se le regole possono produrre occupazione. Eppure sappiamo con certezza, sulla base dell’esperienza prodotta dalle leggi Biagi e Fornero, che le buone norme incoraggiano ad assumere tanto quanto quelle cattive determinano rattrappimento e rinuncia nell’imprenditore. Le regole sono buone soprattutto se sono semplici e certe perché nell’epoca dell’incertezza – così lontana dalla illusione dello sviluppo infinito del 1970 – chi intraprende chiede almeno allo Stato un contesto favorevole perché sicuro.

Vi sono state norme che pur rappresentando una evoluzione rispetto alla disciplina previgente non hanno generato effetti positivi sull’occupazione perché hanno lasciato uno spazio ampio alla discrezionalità del giudice. Un caso di scuola è certamente stata la riforma dell’art 18 dello Statuto contenuta nella Legge Fornero. Il nostro compito sarà quindi quello di non ripetere quell’errore e di consentire sempre al datore di lavoro, anche quando condannato alla reintegrazione, di poter preferire un indennizzo adeguato al lavoratore, giustificato dalla incompatibilità che si è prodotta tra i contraenti del rapporto di lavoro e che non può condurre in nessun caso alla coabitazione forzata.

Questa legge, oltre al contenuto intrinseco, ha peraltro un significato emblematico nei confronti della società e dello stesso assetto del sistema politico italiano. Come è già accaduto in passato, le vere riforme del lavoro hanno la forza di produrre non solo effetti diretti nel mercato del lavoro ma anche effetti indotti nei diffusi comportamenti sociali. Sono riforme che segnano la conclusione di una stagione e l’apertura di una fase nuova. In questo caso la nuova regolazione del lavoro e degli istituti di protezione sociale può rappresentare, seppure con ritardo, la piena presa di coscienza nella dimensione istituzionale dei cambiamenti intervenuti nell’organizzazione della produzione e del lavoro. E ciò non significa affatto mercificare il lavoro ma ripartire da una autentica centralità della persona, dalla sua domanda di continuo accesso a quelle conoscenze e a quelle competenze che la rendono effettivamente utile a sé e agli altri.

Si tratta di un vero salto di paradigma rappresentato dal passaggio dalle vecchie tutele rigide e passive ad un sistema di opportunità continuamente offerte alla responsabilità di ciascuno. E questo cambiamento radicale, anche in relazione ai conflitti che lo accompagnano, ridisegna le leadership e le relazioni politiche.

L’incontro tra il riformismo socialdemocratico e quello liberal-popolare che qui si realizza non è dissimile da quello che sta segnando la vitalità della Germania e che ci auguriamo dia luogo ad un nuovo corso in Europa.

Ancora una volta avversari dei riformismi sono i radicalismi, a destra come a sinistra. Il vecchio estremismo ideologico sempre più stanco e ripetitivo perché vagheggia un mondo che non c’è più e il nuovo nichilismo che immagina l’ossimoro di una decrescita felice. Come abbiamo già detto nella recente esperienza della riforma costituzionale si tratta di decisioni che possono segnare a lungo il confine tra chi da un lato condivide il coraggio delle relative decisioni e chi ad esse si sottrae per opportunismo o per antagonismo.

Noi oggi siamo ancor più convinti della scelta che abbiamo compiuto decidendo, in una stagione straordinaria della nostra vita nazionale, di assumere responsabilità e di rifiutare il declino del centrodestra italiano. Oggi siamo davvero ancor più convinti non solo di aver fatto ieri la scelta giusta ma di essere ora più di ieri componente necessaria di una coalizione di governo utile all’Italia.

Leggi il discorso integrale sul sito di Maurizio Sacconi


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