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Vi spiego perché Kobane è strategica per Isis, Usa e Turchia

Kobane non è importante tanto dal punto di vista militare, quanto da quello simbolico, ad alta valenza politica e propagandistica. Tutti parlano della disperata resistenza dei circa 3.000 combattenti curdi che da tre settimane difendono la città dai miliziani dell’Isis. La spettacolarizzazione mediatica della tragedia della città ne ha aumentato l’importanza politico-strategica: per l’Isis, per gli Usa e per la Turchia.

LE MIRE ISIS

Per l’Isis la caduta della città, malgrado l’aumento dei bombardamenti americani, segnerebbe un grande successo. La sofisticata organizzazione mediatica del Califfato non mancherebbe di utilizzarla, rappresentandola come una grande vittoria sugli Usa e come prova dell’invincibilità del Califfato. Per aumentare e prolungare l’effetto propagandistico, la conquista della città sarà probabilmente seguita dalla strage degli abitanti, che non siano riusciti a fuggire in Turchia.

LA VISIONE AMERICANA

Per gli Usa, la conquista di Kobane renderebbe evidente al mondo intero il fallimento della politica americana in Siria e della strategia adottata nell’attacco all’Isis. Washington ha fatto proprio l’irrealistico assunto che fosse possibile colpire il Califfato in Siria, senza aiutare Assad e le forze governative. La strategia seguita “per degradare e poi distruggere l’ISIS” è stata basata sulla previsione di una lunga guerra di logoramento condotta solo dalle forze aeree. Essa è stata imposta dal presidente Obama ai suoi generali, che ritenevano necessario invece lo schieramento di almeno 25.000 soldati, quando l’intervento americano si prefiggeva solo fini difensivi, limitati al territorio iracheno. Con un incosciente ottimismo, Obama ha esteso le operazioni alla Siria, sentenziato che anche in essa bastassero le forze locali, in particolare quelle curde e le milizie sunnite moderate, che in realtà esistono solo nella fantasia del presidente americano. Le unità curdo-siriane di Protezione del Popolo, anche se rafforzate dagli sperimentati combattenti del PKK e da qualche peshmerga iracheno, sono troppo deboli non solo per sfruttare l’effetto dei bombardamenti aerei, ma anche per difendersi. Per di più, il loro rafforzamento preoccupa Ankara, da una trentina d’anni sotto attacco del PKK. Le unità curdo-siriane sono poi guardate con sospetto dagli altri insorti. Si dice infatti che abbiano concluso una specie di tregua con Assad. Non attaccherebbero le forze governative e, in cambio, non verrebbero attaccate da esse.

L’IMPOSTAZIONE DI ANKARA

Per la Turchia, le vicende di Kobane rappresentano un’opportunità. Erdogan aveva da anni criticato la politica americana in Siria. Non potendo dire di no agli americani, ha però posto tre condizioni. Non potranno essere accettate da Washington, ma consentiranno a Erdogan di salvare la faccia. La prima è che l’intervento non riguardi solo l’ISIS, ma anche Assad. La seconda è che venga attaccato anche il PKK. La terza è che in prossimità del confine turco, ma in territorio siriano, vengano create zone di sicurezza per i rifugiati, protette anche da una no-fly zone, estesa su tutte le aree sotto controllo governativo. Le zone di sicurezza sarebbero collegate fra di loro e farebbero parte di una fascia cuscinetto a sud del confine turco. Per inciso, la terza condizione comporta la distruzione preventiva delle potenti difese aeree siriane e la distruzione di quanto rimane dell’aeronautica del regime.

LA MALIZIA DI ERDOGAN

La caduta di Kobane e l’umiliazione degli Usa vengono considerate con favore da Erdogan. Il presidente turco sembra persuaso che esse aumenteranno il peso regionale “neo-ottomano” della Turchia. Per tale motivo, le unità turche che, dall’alto delle colline a nord di Kobani, osservano senza muovere un dito lo spettacolo della tragedia della città, hanno avuto ordine di non muoversi, se non per bloccare l’afflusso dalla Turchia dei volontari curdi, che vorrebbero recarsi a combattere per difenderla.  Erdogan sa di dover pagare un prezzo. Il 20% della popolazione turca è curda. Sta protestando contro il governo. I morti fra i dimostranti sono ormai un paio di dozzine. Un politico realista come il presidente turco le aveva sicuramente “messe nel conto”. Ormai si è giocato la possibilità di accordarsi con i curdi della Turchia e di avere il loro appoggio il prossimo anno, quando, dopo le elezioni politiche, cercherà di ampliare i poteri del presidente. Per questo, dal suo punto di vista, prima KobanE cade, meglio è. Nulla da dire! Machiavelli l’avrebbe applaudito e questo ha, per un politico realista come Erdogan, molta più importanza delle lamentazioni della Casa Bianca.



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