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Italia e Cina, passione troppo sfrenata?

L’economia italiana parla sempre più cinese, anche a causa degli effetti della crisi, che induce a cedere all’estero partecipazioni di Stato anche strategiche. Non è un quadro confortante quello delineato da Bloomberg secondo cui l’Italia quest’anno, da dati in possesso del sito finanziario, è stata il più grande obiettivo della Cina in Europa dopo il Regno Unito, con acquisizioni transfrontaliere per 3,43 miliardi dollari. Numeri che vengono sottolineati in concomitanza con l’arrivo del premier Li Keqiang, che discuterà con Matteo Renzi e Giorgio Napolitano dei rapporti e degli investimenti della Cina in Italia e in Europa, per poi spostarsi giovedì 16 e venerdì 17 ottobre a Milano per il decimo vertice Asia-Europa. E come nei mesi passati, la visita del premier cinese aprirà a circa 20 nuovi accordi intergovernativi e contratti commerciali.

GLI ACCORDI DI OGGI

Tra le intese che verranno firmate oggi, svela Il Sole 24 Ore, “ci sarà quello tra la Cassa Depositi e Prestiti e China Development Bank, valore 3,8 miliardi di dollari“, frutto del viaggio di Pier Carlo Padoan a fine luglio a Pechino. Poi c’è “l’accordo tra Fondo Strategico italiano e China investment corporation… un accordo di coinvestimento per un miliardo di euro… per esplorare possibilità di investimento congiunte nei settori che rientrano nei rispettivi ambiti di interesse“, con l’impegno “a valutare la possibilità di costituire un veicolo finanziario ad hoc per il perseguimento degli obiettivi“. Collaborazioni che, fa notare il quotidiano di Confindustria, rafforzano anche il dialogo politico (anche se alcuni giornalisti economici, come Federico Fubini di Repubblica, intravedono il rischio che puntare troppo su un solo Paese, la Cina in questo caso, possa indebolire la posizione internazionale dell’Italia).

LE MIRE DI PECHINO

Sull’asse Roma-Pechino, in particolare in settori strategici e spesso a forte partecipazione pubblica come energia, trasporti e telecomunicazioni, si muove ormai una quota rilevante degli investimenti dei colossi statali cinesi in Europa (l’Heritage Foundation li ha stimati nel 6,9% del totale regionale, sotto il grafico), nonché della strategia geopolitica del Dragone nel Vecchio Continente. L’ingresso di State Grid Corporation of China in Cdp Reti, che controlla le infrastrutture di Terna e Snam; quello in Shanghai Electric in Ansaldo Energia; l’interesse per Ansaldo Breda (treni) e Ansaldo Sts (sistemi di trasporto); nonché quello per il fondo che controlla la società di rete della banda larga Metroweb e per Saipem (infrastrutture per idrocarburi). Anche secondo un’inchiesta del Financial Times, l’Italia è al primo posto nelle mire di espansione della Cina. In particolare Pechino starebbe passando da investimenti nelle economie emergenti a quelle mature e scommetterebbe sull’Europa.

Mire che, ha spiegato l’analista di rischio regolatorio Francesco Galietti, potrebbero presto espandersi alle municipalizzate italiane in affanno che il governo e gli enti locali intenderebbero mettere sul mercato.

INVESTIMENTI CINESI IN EUROPA [GRAFICO]

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(fonte: Heritage Foundation/Financial Times)

GLI ASPETTI GEOPOLITICI

Fin qui il lato economico. Apparentemente secondari, ma non per questo meno rilevanti, sono poi gli effetti geopolitici derivanti dall’intesa tra Roma e Pechino. Un conoscitore della Cina come Alberto Forchielli, socio fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo, sentito da Formiche.net ha detto di ritenere che dietro l’infatuazione della Repubblica Popolare per il Vecchio Continente si nasconda la volontà di spaccare l’alleanza tra Europa e Stati Uniti, anche per minare il Trattato di libero scambio transatlantico, il Ttip, e influenzare i processi europei. Ma c’è dell’altro. Per Forchielli, tra le altre cose anima del centro di ricerche non-profit Osservatorio Asia, investendo in Italia la Cina prova “ripulire” la sua cattiva immagine derivante da “truffe come Suntech in Puglia o vetrine permanenti degli orrori come Prato” che “rappresentano immagini difficili da cancellare”. Non è un caso, aggiunge, “che le prime partecipazioni dichiarate, quelle in Eni ed Enel, siano arrivate subito dopo la strage in un’azienda tessile della città toscana, dove persero la vita sette persone“. Una tesi che l’imprenditore sostiene citando una ricerca, pubblicata dall’istituto Pew lo scorso luglio, su come l’opinione pubblica di alcuni Paesi vede la Cina. “È emerso – ricorda – che il 70% degli italiani vede di cattivo occhio Pechino. Una percentuale altissima, superiore a quella di tutti i Paesi occidentali“.

Altrettanto dubbioso lo storico ed economista Giulio Sapelli, che intervistato da questa testata ha sottolineato come asset come quelli energetici siano fondamentali per l’interesse nazionale e che eventuali cessioni, anche di quote minoritarie come nel caso di Cdp Reti, quindi di Snam e Terna, vadano discusse e valutate preventivamente con un confronto tra Governo, Ministero degli Esteri e associazioni di categoria, di cui spesso si avvertirebbe la mancanza.

Di segno opposto la valutazione del generale Carlo Jean, che sempre su queste colonne ha considerato gli investimenti cinesi nella Penisola poco pericolosi sul versante strategico (“spesso si tratta di quote di minoranza“), ma dettati puramente da logiche profitto.

NESSUN PERICOLO

A tranquillizzare sugli effetti dell’attivismo cinese in Italia sono stati di recente gli stessi Franco Bassanini, presidente di Cdp e l’ad, Giovanni Gorno Tempini. La società partecipata dal Tesoro è stata una delle apripista della presenza cinese in Italia attraverso il discusso accordo  per l’ingresso con il 35 per cento del colosso cinese State Grid nella holding Cdp Reti, che detiene la partecipazione statale in Snam e presto quella di Terna. Nell’occasione Bassanini ha detto al direttore di Formiche.net Michele Arnese come l’accordo preveda per i cinesi una quota di minoranza e come una cooperazione di questo tipo possa offrire alle imprese italiane gli strumenti per recitare un ruolo da protagoniste sul piano europeo, oltre a costituire una porta d’accesso privilegiata ai mercati asiatici. Non solo. L’intesa siglata ufficialmente a Roma il prossimo 31 luglio scorso, è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare del Movimento 5 Stelle, al quale il Ministero dello Sviluppo economico ha risposto che, anche volendo, sarebbe stato difficile muoversi altrimenti, considerato che l’unica offerta pervenuta proveniva proprio da Pechino.



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