Sabato si è svolto a Milano l’evento politico Sveglia centrodestra, organizzato da un gruppo valente di giovani con la regia di Lorenzo Castellani. L’occasione è stata proficua per capire lo stato di salute di un’area frammentata da molte divisioni che rappresenta però un comune orizzonte elettorale alternativo alla sinistra.
Certo l’iniziativa, come del resto tutte quelle dello stesso tipo, si è rivelata problematica e ha fatto discutere. I commenti di Paolo Messa e di Michele Arnese hanno già bene evidenziato le contraddizioni e le giuste riserve. Non è così sicuro, in effetti, che gli elettori della Lega, di Fratelli d’Italia, ma anche quelli del Nuovo Centrodestra e di Forza Italia, siano sufficientemente simili tra loro, e oltretutto mossi dai medesimi presupposti. Anche se è evidente nondimeno che non vi siano alternative politiche a camminare insieme, per ragioni elettorali e culturali. Le prime sono immediate. Quale sarà la legge elettorale con cui si voterà nei prossimi anni, è logico che la competizione spingerà ineluttabilmente ad aggregare gruppi e partiti, lasciando le rispettive identità come fattori interni alle due macro aree di centrosinistra e di centrodestra.
In questo senso la scommessa unitaria dei moderati ha una valenza culturale, vale a dire finalizzata a rintracciare un possibile dialogo interno al centrodestra per rendere possibile un incontro privilegiato tra popolari, liberali e conservatori. Ora sabato, magari anche grazie al fatto che molti giovani amministratori hanno preso la parola, questa coscienza è trapelata abbastanza bene, con un grado di omogeneità persino stupefacente.
Si sa, un incontro del genere non è nient’altro che una kermesse, la quale non può da sé risolvere nulla, né tanto meno creare qualcosa di politicamente risolutivo. Tuttavia se la meta era far trasparire un humus valoriale di fondo, allora probabilmente la presenza di pochi leader di partito unita all’attenzione di tutti, specialmente di chi poi ha deciso di non essere presente, ha generato un combinato disposto interessante, che dovrebbe far riflettere.
A mio avviso, quando si discute di scenari così vasti, bisogna saper distinguere più nettamente di quanto sia stato fatto a Milano i molteplici livelli del problema. Una cosa è tracciare una rotta fondamentale. Un’altra guardare alle condizioni oggettive e programmatiche. Altra ancora lavorare sul presente nella sua condizione fattuale. In primis, infatti, è giusto che il centrodestra trovi ed esprima il comune denominatore che lo contraddistingue. E questo è una filosofia sottesa, articolata attorno a cinque principi fondamentali: vita, persona, famiglia, comunità, democrazia. Chiunque non è di sinistra pensa, in fin dei conti, che non sia possibile una vera democrazia senza una forte comunità, e non esista quest’ultima senza un chiaro riconoscimento pubblico ed economico della famiglia come soggetto sociale, dentro cui nasce e prospera la vita personale.
A questo livello massimo la distinzione con il centrosinistra è totale. Per i progressisti contano i diritti individuali, magari associati in obiettivi specifici, e la democrazia è intesa come una contrattazione finale di istanze organizzate secondo il tipo di interesse collettivo che si vuole sostenere attraverso l’azione politica. In sostanza, quando si ragiona di politica, si presuppone sempre o che la spinta debba venire dalla relazione diretta delle persone, oppure che sia la politica stessa a doverla creare. Tertium non datur.
La democrazia per il centrosinistra è una somma di diritti, mentre per il centrodestra è il risultato complessivo di una realtà comunitaria che esiste già, che ha doveri e sceglie di conseguenza. Anche sulla questione del consenso, inoltre, non possono esservi che due orientamenti soltanto: o quello di chi ritiene di poter creare il consenso con il potere, o quello di chi ritiene che il consenso esista prima e vada rintracciato, trasmesso, rappresentato poi, così com’è, con il potere che ha. La distinzione, insomma, è tra socialisti e popolari. Il resto sono sfumature.
Io credo che questo spartiacque sabato sia emerso abbastanza bene. Non in modo sistematico ma comunque in modo netto.
Ovviamente, molto diverso è il secondo discorso, quello relativo alla situazione oggettiva e programmatica. Probabilmente trovare unità concreta tra gli attuali movimenti non di sinistra è faticoso a questo livello, anche perché subentrano esigenze e divergenze non omologabili, specialmente tra NCD e Forza Italia, da un lato, e Lega e Fratelli d’Italia, dall’altro. La tradizione popolare, oltretutto, non è di destra per quanto riguarda tante questioni concrete: immigrazione, politica europea, eccetera. Ed è giusto che le differenze restino tali.
In ultimo vi è il ragionamento sul presente. Ora è chiaro che questa è l’era Renzi, ed è difficile pensare che una leadership alternativa alla sua possa nascere nel breve. Probabilmente occorrerà continuare nella linea governativa delle larghe intese anche nella prossima legislatura. Non solo non lo si può escludere, ma senza alternativa concreta è perfino auspicabile che la si escluda. Il merito di Popolari e NCD, in questi mesi, è stato indiscutibilmente saper dimostrare che governare insieme al centrosinistra non significa condividere i valori della sinistra. Perché governare insieme è giusto, se ognuno però sa molto bene chi è, e resta esattamente quello che è.
Qualsiasi ipotesi futura non potrà emergere, prossimamente, prima di aver affrontato una campagna elettorale, nella quale distinguersi per appartenenze specifiche sarà obbligatorio per stabilire il peso che avrà ciascuno, soprattutto dovendo governare insieme.
In definitiva, non so quale fosse l’obiettivo ultimo di Castellani e co.; non credo vi fossero più ambizioni di quelle messe sabato sul tavolo. Se, ad ogni buon conto, l’intento era demarcare culturalmente l’area popolare e conservatrice da quella progressista, allora il modo non partitico e l’idea puramente interlocutiva perseguita ha mostrato una sua legittimità, presentando una nuova generazione moderata che esiste e vuole esprimersi in modo bipolare.
In definitiva, chi tra i politici non ha partecipato ha dovuto dire perché non l’ha fatto, e forse ha confessato di essere ormai molto spaventato dal futuro e molto debole nel presente. Nel 2014, sic stantibus rebus, era realisticamente sensato chiedere di più a questi ragazzi?