I riflettori dei media non hanno giovato agli affari dell’Isis, che ha dovuto cambiare in corsa il proprio modo di gestire l’enorme flusso di denaro che si è riversato improvvisamente nelle sue casse, passando da metodi tradizionali come gli investimenti bancari all’utilizzo di monete virtuali, come il Bitcoin.
PROPAGANDA E MODERNITÀ
Nonostante una visione retrograda della società, l’organizzazione guidata da al-Baghdadi ha saputo fare di un sapiente mix tra propaganda e modernità il proprio punto di forza. Condanna le libertà occidentali, ma non disdegna l’uso dei social media; demonizza lo stile di vita delle città europee ed americane, ma investe il suo denaro in banca, come una corporation qualunque.
I CONTI IN BANCA
Lo Stato islamico è divenuto ricco e potente come mai nessun gruppo terrorista prima d’ora, grazie soprattutto a un vero e proprio sistema imprenditoriale che lo ha portato a sfruttare giacimenti petroliferi in Siria ed Irak, depredare arsenali militari, svaligiare istituti di credito. Tutti questi soldi in molti casi, come dimostrano diverse inchieste, sono stati riciclati e poi reinvestiti grazie a una fitta rete di “charitable organizations“, spesso islamiche, che li hanno spostati su conti di grosse banche occidentali.
Nonostante le cause ufficiali fossero altre, come ricordato dal Guardian, molti osservatori hanno collegato la chiusura improvvisa di alcuni conti della Hsbc (uno della moschea di Finsbury Park) avvenuti a luglio scorso, con il timore che potessero essere interessati da fenomeni di questo tipo.
I PRECEDENTI
Probabilmente quello della banca britannica – in passato interessata da alcuni procedimenti per riciclaggio di gruppi terroristi mediorientali come Hamas ed Hezbollah partiti dalle rivelazioni della talpa Everett Stern, per i quali ha corrisposto una multa dalla somma record di 1,9 miliardi di dollari – è stato solo “un eccesso di zelo”.
Fatto sta che da allora il clima è molto cambiato per un network del terrore come l’Isis, che pensa a nuovi modi per rendere economicamente sostenibile sul lungo periodo la costruzione dell’auto-proclamato “Califfato”.
IL DOLLARO DEL JIHAD
Uno di questi, come testimonia un documento rinvenuto su un forum curato dal gruppo jihadista (sotto il pdf originale) è l’utilizzo di Bitcoin. La moneta virtuale, da tempo nel mirino delle forze dell’ordine, è già utilizzata in modo massiccio nel sottobosco di internet, il cosiddetto deep web, per concludere transazioni illegali e difficilmente rilevabili. Ora potrebbe diventare la nuova valuta internazionale dei terroristi, una sorta di “dollaro del jihad”.
BITCOIN AL SERVIZIO DELLA GUERRA GLOBALE?
In un post, analizzato su SkyNews da Tom Cheshire, l’autore sostiene che tali donazioni sarebbero “non tracciabili” dai governi occidentali e spiega come funziona la rete Bitcoin, mettendo in evidenza Dark Wallet, un portafoglio attualmente in fase di sviluppo, che utilizza la crittografia per rendere più difficile rintracciare le transazioni nella moneta virtuale. Una soluzione che, crede l’attivista dello Stato islamico, consentirebbe anche ai simpatizzanti che non possono o vogliono metterci la faccia di “evitare le tasse governative e insieme finanziare segretamente i mujaheddin senza incorrere in pericoli legali“.
“Bitcoin and the Charity of Violent Physical Struggle”