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Ecco vizi e virtù della manovra di Renzi e Padoan

Promuovere la ripresa economico-sociale nel rispetto dei parametri di bilancio comunitari. È l’idea-forza che ha animato il seminario “La legge di stabilità 2015: fra vincoli europei ed esigenze di rilancio della crescita”, promosso al Senato della Repubblica dal Centro Europa Ricerche in collaborazione con il gruppo parlamentare del Partito democratico a Palazzo Madama.

Convegno che ha affrontato tutti gli interrogativi e i dubbi alimentati dalla manovra finanziaria presentata dal governo Renzi.

Una manovra coraggiosa

Testo che l’economista Vladimiro Giacchè, presidente del CER, promuove come “atto di felice discontinuità e coraggio espansivo rispetto all’austerità prevalente a livello comunitario”.

Coraggio innovativo che a suo giudizio emerge nella rivendicazione di una strategia di stimolo della domanda aggregata a breve termine e nel rinvio al 2017 del pareggio di bilancio strutturale.

Un obiettivo cui è improntato l’intervento correttivo per 4,5 miliardi concordato dal governo italiano con le autorità UE.

Il panorama critico dell’Euro-zona

È in tale cornice che va compresa l’evoluzione dell’iniziativa economica dell’esecutivo, spiega il direttore del CER Stefano Fantacone. Il Documento di economia e finanza presentato in primavera guardava in prevalenza all’esigenza delle riforme strutturali e prevedeva una ripresa produttiva fino all’1,9 per cento nel 2018 oltre a una riduzione del debito pubblico nel prossimo triennio.

Ma lo scenario macro-economico non ha risposto alle aspettative, confermando il quadro di recessione e deflazione nell’Euro-zona. Lo confermano le cifre messe in luce dal 2° Rapporto redatto dal CER sull’economia italiana nel 2014.

A partire da un Prodotto interno lordo fermo al -0,3 per cento e da consumi che fanno registrare un aumento di appena lo 0,3 per cento. Più incoraggianti le rilevazioni sull’import che sale al +1,7 per cento dopo il crollo al -2,7 del 2013, e gli investimenti fissi lordi che dal -5,4 per cento dell’anno passato si attestano al -2,1. Resta preoccupante il trend del debito pubblico schizzato al 131,6 per cento del PIL, e del tasso di disoccupazione che nel 2014 ha raggiunto il record del 12,8 per cento.

Una strategia nociva

Panorama che, ha rimarcato Fantacone, è riflesso del carattere intollerabile di una politica europea tutta orientata sulla richiesta estera di beni e servizi. Sull’avanzo nella bilancia commerciale che “vincola l’Euro-zona allo sviluppo economico delle realtà extra-Ue e dei paesi emergenti”. Una politica che ha “ucciso” la domanda interna tramite provvedimenti restrittivi di tipo fiscale e ha “abdicato a favore di una cattiva tecnica”.

Luci e ombre della Legge di stabilità

Rispetto a un quadro così critico – rileva il direttore del Cer – la Legge di stabilità del governo Renzi presenta un’impronta espansiva molto chiara sul versante delle spese e delle minori entrate. Cominciando  dagli sgravi contributivi per le nuove assunzioni lavorative.  “Anche se è difficile attendere un’accelerazione delle prospettive di crescita in assenza di politiche europee coerenti”.

Maggiori interrogativi concernono la tenuta effettiva delle coperture di bilancio, ben al di là del taglio di sprechi e consumi inutili. L’aspetto più critico, osserva l’economista, riguarda l’aggravio di prelievi fiscali indiretti – 13 miliardi nel 2016 e 20 nel 2017 – provocati dall’attivazione delle “clausole di salvaguarda”. Strumenti che vengono messi in campo nel caso di intralci nel piano di taglio della spesa pubblica.

Ritornare allo spirito di Maastricht

Un apprezzamento per “l’esigenza di un salto di qualità nelle politiche per lo sviluppo e per un rispetto non passivo dei vincoli di bilancio europei” è espresso da Antonio Pedone, professore di Scienza delle Finanze all’Università “La Sapienza” di Roma e tra i promotori della sfortunata raccolta di firme per le richieste referendarie contro l’applicazione dell’austerità nel nostro paese.

Il quale mette in guardia da una crisi produttiva che in Italia presenta carattere strutturale e non congiunturale. E riconosce che il clima di fiducia crescente e di più robusta stabilità politica non ha prodotto gli effetti previsti.

Pertanto, evidenzia lo studioso, è necessario un mutamento radicale e non convenzionale delle strategie finanziarie Ue tutte sbilanciate sulle esportazioni verso le realtà extra-europee e vincolate alle oscillazioni del commercio mondiale. Lo stesso Trattato di Maastricht – ricorda – prevede la facoltà di superare il vincolo del 3 per cento deficit-PIL in condizioni eccezionali e temporanee.

Riforme strutturali e investimenti

Ma non basta capovolgere la rotta delle soffocanti politiche comunitarie. Il nostro paese, avverte Pedone, è chiamato a promuovere una scossa di riforme strutturali – mercato del lavoro, giustizia civile e amministrativa, burocrazia – per capovolgere la deriva di declino in corso dagli anni Novanta. “E il governo deve promuovere una strategia di investimenti pubblici, privati e misti di cui non si trovano tracce nella Legge di stabilità”.

Più coraggio nella spending review

Mancanza che Paolo Guerrieri, professore di Economia all’Università “La Sapienza” di Roma e senatore del Partito democratico, estende a un altro punto cruciale: “Tagli e revisioni della spesa pubblica, lontani dagli obiettivi prospettati da Carlo Cottarelli e perseguiti fino a poco tempo fa. Fondamentali per fornire coperture finanziarie agli sgravi contributivi-fiscali sul lavoro e al consolidamento del bonus degli 80 euro”.

Cambiare i parametri finanziari UE

Il parlamentare del PD riconosce “l’impostazione innovativa” della manovra finanziaria del governo. Tanto più in un contesto dell’Euro-zona “caratterizzato da una modesta ripresa che sta perdendo tono, recessione e crollo dei prezzi, aumento dei debiti sovrani, ristagno permanente peggiore rispetto agli anni Trenta”.

Scenario aggravato – precisa lo studioso – da un governo pessimo della moneta unica: “Problema che non si risolve abbandonandola o non rispettando i limiti di bilancio dell’Euro-zona, con i rischi legati alle reazioni imprevedibili dei mercati internazionali detentori di buona parte dei titoli di Stato italiani”.

La strada da intraprendere per Guerrieri passa per la costruzione di alleanze e strategie finalizzate a cambiare vincoli fragili ed evanescenti come il pareggio strutturale: “Perché da solo un singolo paese non può invertire la tendenza recessiva in atto da 7 anni”.

Una miscela di investimenti locali ed europei

A rispondere a tali sollecitazioni è stato il vice-ministro dell’Economia e Finanze Enrico Morando.

Riconoscendo il limite della caduta progressiva impressa da tanti anni agli investimenti nel versante della domanda e dell’offerta, il rappresentante dell’esecutivo promette di correggere tale carenza nel medio termine: “Lavorando sull’allentamento del Patto di stabilità interno per i comuni, che quest’anno non hanno potuto utilizzare ben 4 miliardi di euro”.

Ma una strategia aggressiva di investimenti, rileva l’esponente liberal del Nazareno, la può realizzare esclusivamente la Commissione UE. E in tale orizzonte si muove l’impegno preso dal suo nuovo presidente per uno stanziamento di 300 miliardi in infrastrutture materiali e immateriali: “Anche attraverso strumenti come i project bond”.

Tagliare il cuneo fiscale e la spesa pubblica

Tuttavia, ammonisce Morando, una politica espansiva non è sufficiente per promuovere lo sviluppo economico di paesi da tempo in stagnazione. È necessario un complesso di interventi coraggiosi e favorevoli alla competitività del tipo di quelli attuati in Germania ad opera del governo di Gerhard Schroeder.

Misure che ai suoi occhi trovano attuazione negli interventi fiscali e contributivi di riduzione del 30 per cento del costo del lavoro messi a punto dal governo. E in un’iniziativa rigorosa di spending review sulla “montagna di risorse pubbliche che non si traducono in servizi di qualità”.


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