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Ecco cosa succede davvero nel Pd

Un clima da delegittimazione permanente. Un partito in cui non c’è più una squadra sola ma un derby tra tifoserie nemiche che provoca il logoramento di tutti i contendenti. Ecco gli ultimi giorni di tensione tra il Pd della Leopolda e quello della piazza, tra governo e sindacati, tra Matteo Renzi e Susanna Camusso, visti da Francesco Cundari, giornalista dell’Unità e collaboratore del Foglio.

Che idea si è fatto di questa “guerra dei mondi”, per dirla con Claudio Cerasa?
E’ l’eredità delle primarie, lo strumento che ha fondato il Pd ma rischia di affondarlo. Un partito non può restare in congresso permanente per cui o sei renziano o sei gufo, o sei servo dei poteri forti o sei traditore. E non può diventare un derby tra tifoserie nemiche. Questa situazione non può durare.

E allora si va verso la scissione?
Il problema non è tanto la scissione, anche se è chiaro che più si va avanti così più sarà difficile tornare indietro, quanto lo stato di tensione che danneggia tutti e che porta a un logoramento reciproco.

Ma di chi è la colpa? Di Renzi che non ascolta le istanze altrui o della minoranza dem che non si adegua alla disciplina di partito?
E’ un gioco a cui hanno partecipato tutti e che si conclude con la sconfitta di tutti. Lo si è visto con Bersani per l’elezione al Quirinale quando Renzi disse ai suoi di non votare Marini, lo si rivede con Renzi a Palazzo Chigi e i malumori della minoranza dem. Le primarie per la leadership del partito esistono solo negli Stati Uniti perché lì ci sono solo due grandi realtà, due confederazioni. Qui il sistema sembra non reggere.

Questa conflittualità interna stride con il partito a vocazione maggioritaria che vuole Renzi?
Il Pd di Renzi è forse più vicino al modello americano rispetto al passato ma la dialettica al suo interno è totalmente esasperata. Un partito per potersi allargare non può permettersi una conflittualità così alta.

All’esterno del Pd, tra il governo e i sindacati, il clima è forse ancora peggio…
Mi hanno sorpreso i livelli della polemica, il clima di delegittimazione permanente. Susanna Camusso che accusa il presidente del Consiglio di essere servo dei poteri forti, l’europarlamentare Pd Pina Picierno che parla di tessere false, Davide Zoggia che allude a una strana coincidenza tra le parole di Davide Serra alla Leopolda sul diritto di sciopero da limitare e la carica dei poliziotti agli operai di Terni a Roma. Sono toni inaccettabili, è un modo non responsabile di condurre la polemica politica.

Il conflitto permanente potrebbe portare Renzi a volere elezioni anticipate?
Non credo, mi sembra che alla fine in Parlamento tutti questi gufi non gli abbiano causato molte difficoltà. E poi non gli converrebbe. Se un politico è già al governo e lo interrompe per capitalizzare la sua popolarità, in genere viene punito. Sarebbe un autogol.

C’è spazio per un partito a sinistra del Pd? Si parla tanto del partito di Maurizio Landini…
Penso che lo spazio sia quello certificato alle Europee: il 4/5%, non di più…

Renzi invece dalla Leopolda ha iniziato la sua Bad Godesberg?
Credo che sia almeno la 15esima Bad Godesberg della sinistra italiana degli ultimi anni, ce n’è stata più o meno una all’anno. Si è parlato di Bad Godesberg all’epoca dello scontro tra D’Alema e Cofferati e ancora con la nascita dei Ds e poi con il discorso di Veltroni al Lingotto. Il discorso di Renzi sull’Iphone con il gettone non mi ha convinto, non mi pare siano le basi per costruire una svolta politico-culturale. E’ più la polemica per costruire i giornali del giorno dopo che quella per riempire i libri di storia.

Eppure ora i riferimenti culturali della sinistra sembrano cambiati. Il modello è il laburismo di Blair e Clinton. Che effetto le fa?
Fa parte del gioco se il leader del Pd si ispira a Blair e Clinton, lo hanno fatto anche i predecessori di Renzi. Il punto però è proprio questo. Se seguire Blair negli anni Novanta era guardare avanti, oggi forse con la crisi mondiale molte cose sono cambiate e anche lo stesso Clinton ha fatto autocritica su alcuni punti di quel modello.

A chi dovrebbe ispirarsi allora Renzi?
Visto che vede spesso la Germania come modello, lo inviterei ad estendere il suo sguardo sul rapporto con i sindacati e le riforme istituzionali che caratterizzano Berlino, non potrà che trarne ispirazione.



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