Un’audizione parlamentare a volte non fa notizia. Se però ad essere ascoltato è il numero dell’Eni, insediato da pochi mesi, ed a presiedere la commissione è Massimo Mucchetti, è evidente che l’interesse giornalistico ci sta tutto. E ieri al Senato le parole del ceo del Cane a sei zampe, Claudio Descalzi, hanno avuto attenzione da parte di tutti i componenti della commissione Industria del Senato. L’Eni è un gigante industriale e solitamente viene visto con sospetto da una parte della sinistra radicale. Lo stesso Mucchetti, da giornalista prima e da parlamentare poi, è stato sovente un critico delle strategie dell’impresa fondata da Enrico Mattei.
DOSSIER SOUTH STREAM
Le parole politicamente più rilevanti sono state quelle spese da Descalzi riguardano South Stream, il progetto di gasdotto fortemente voluto dalla Russia. L’Eni intende confermare i suoi impegni, ma non a tutti i costi. Se la spesa resterà nei 600 milioni concordati, tutto bene. Ma l’azienda petrolifera italiana non intende farsi carico dei nuovi oneri che derivano dalla conflittualità fra Kiev e Mosca. L’ipotesi di uscire da South Stream sarebbe stata semplicemente impensabile fino a pochi mesi fa. Lo stesso governo Renzi, appena insediato e con la crisi in Ucraina che iniziava a scuotere l’Europa, aveva lanciato messaggi contraddittori. Adesso, c’è chiarezza. E già che c’era Descalzi ne ha approfittato per chiarire non c’è “nessuna discussione” con la Rosneft sulla cessione della quota detenuta da Eni in Saipem. Una smentita insomma alla ridda di voci – dopo le frasi dei vertici del colosso russo al Sole 24 Ore ricostruite da questo pezzo di Formiche.net che ha compiuto una ricognizione sul dossier Saipem mentre Reuters oggi sostiene che Eni sta lavorando con Credit Suisse per valutare la cessione di Saipem – che vedevano ancora l’ombra di Putin ancora incombente. Il rapporto con Mosca continua ad essere importante ma adesso sembra aver perso quella dimensione strategica che aveva quando a Palazzo Chigi regnava Silvio Berlusconi. In ballo ci sono ancora le rinegoziazioni sui contratti “take or pay” del gas: la trattativa con Gazprom riguarda una somma di prepagato pari a 1,9 miliardi di euro e l’obiettivo, ha spiegato Descalzi, è andare a break even entro il 2017, se non prima.
LA NUOVA GEOPOLITICA DEL CANE
L’asse geopolitico dell’Eni appare oggi chiaramente indirizzato verso sud, verso l’Africa. Nuovi giacimenti come nel caso del Mozambico ma anche la necessità di tutelare aree ad alta instabilità quali l’Iraq, la Libia e la Nigeria. Il futuro del Cane a sei zampe sarà nel suo core-business ed è su questo che Descalzi sta lavorando: ai senatori guidati da Mucchetti ha detto che si attende già nel 2017 una produzione aggiuntiva di 500mila barili al giorno. La contrazione della domanda di energia in Europa è un problema ed anche la caduta del prezzo del petrolio è un fattore di cui tenere conto. L’analisi a quattro anni su cui stanno lavorando a San Donato, quartier generale dell’Eni, è su un valore prudenziale di 90 dollari.
LA QUESTIONE DELLE BONIFICHE
In questo contesto, l’Italia rappresenta per l’Eni il maggiore centro di costo. Descalzi, parlando in Parlamento e rivolgendosi quindi alla politica, ha voluto rassicurare circa la qualità e la quantità degli investimenti nel Paese, ha spiegato come intende cambiare la raffinazione nella prospettiva di dare un senso ad un’attività che diversamente morirebbe, ha chiarito che ove ci fosse shale gas in Italia l’Eni sceglierebbe comunque di non mettere in pericolo l’ambiente. Ovviamente, non ha potuto né voluto tacere una vergogna tutta nostrana: l’azienda ha 500 milioni di euro da spendere per realizzare le bonifiche ambientali ma non riesce ad ottenere le autorizzazioni e questo naturalmente produce costi ulteriori per Eni, impatti ambientali negativi per i territori e soprattutto non consente a queste risorse di essere immesse nel circuito dell’economia reale. Un disastro, insomma. Chissà se i senatori ma anche il governo (ministero dell’Ambiente in primis) hanno preso nota.
IL RUOLO DELL’ENI
L’Eni produce energia ma spetta alla politica indirizzarla, come direbbe Renzi, nel verso giusto. Sul piano internazionale il nuovo equilibrio (meno sbilanciato su Mosca) appare del tutto convincente. In Italia l’azienda fa tutto quel che può. Dalle bonifiche alle riconversioni industriali quel che sin qui è mancata è stata la chiarezza delle regole e la loro applicazione, si dice ai vertici del gruppo.