Secondo Robert Hannigan, nuovo direttore del GCHQ, l’agenzia di SigInt del servizio segreto britannico, i provider di internet statunitensi sono diventati delle vere e proprie “reti di comando e controllo” per i terroristi. La dichiarazione pubblicata in prima pagina dal Financial Times è una vera e propria “bordata” contro le aziende della Silicon Valley che, come ammette Hannigan, sono riottose a una collaborazione con le agenzie di intelligence.
Secondo FT le osservazioni di un esponente di primo livello del Servizio segreto di Sua Maestà sottolineano le sempre maggiori tensioni nella comunità Intelligence dei Paesi occidentali. In particolare emerge come la linea di condotta adottata dalle società di internet in protezione dei propri marchi sulla scia delle rivelazioni da parte dell’ex analista Edward Snowden, vada a contrastare con le politiche di sicurezza nazionale adottate dai governi dopo l’11 settembre e, in particolare, dopo l’ascesa del Califfato islamico.
Secondo Hannigan, le strategie di marketing adottate dai maggiori provider di Internet contrasterebbero con il basilare concetto di sicurezza nazionale in quanto, proprio la scelta spasmodica in favore della protezione della privacy, favorirebbe le azioni di reclutamento e finanziamento dei jihadisti. In particolare per Hannigan “le sfide per i governi e le agenzie di intelligence sono enormi e queste sfide, su scala internazionale, non possono essere affrontate senza un maggior sostegno da parte delle maggiori società statunitensi che dominano il web”.
Sempre secondo il Financial Times, i sofisticati metodi di crittografia e di “anonimato” delle comunicazioni utilizzati dagli esponenti dello Stato Islamico hanno lasciato le agenzie di intelligence occidentali in uno stato di ridotta capacità di sorveglianza di fronte all’aumento dilagante del jihadismo. Nello specifico, i combattenti dell’Isis sono utenti prolifici e altamente informatizzati che utilizzano decine di piattaforme diverse di social network come Twitter, YouTube, WhatsApp e Facebook.
In modo indiretto, secondo Hannigan, questi provider sono diventati parte integrante della struttura di comando dello Stato Islamico a tal punto che WhatsApp è diventata l’applicazione più utilizzata dai comandanti militari per diffondere le istruzioni per i combattenti sul campo. Hannigan lancia una denuncia aperta sulle disparità di trattamento effettuato dai provider statunitensi verso le agenzie di intelligence britanniche rispetto a quelle statunitensi.
In particolare secondo il direttore dell’agenzia di SigInt “le capacità di raccolta di informazioni da parte del GCHQ sono diventate molto più difficili negli ultimi 18 mesi, soprattutto perché i provider sono diventati meno cooperativi con i servizi segreti stranieri, anche quelli come il Regno Unito che lavorano a stretto contatto con le autorità statunitensi”. Il messaggio è rivolto in particolare a Google e Facebook che hanno frenato le capacità dei Servizi di intelligence del Regno Unito di “attingere” dai dati elettronici di rilevanza informativa”.
L’utilizzo illegale del web da parte di soggetti criminali e terroristi non è una novità. A tal proposito anche l’Unità Informazione Finanziaria della Banca d’Italia (UIF), nel suo ultimo report, ha sottolineato come l’elevato grado di anonimato che accompagna le azioni condotte attraverso il web favorisca, di fatto, un uso illegale di strumenti preposti allo scambio di beni e servizi come può essere la moneta virtuale bitcoin. Dello stesso avviso è l’Economist che in un recente articolo denuncia il sempre maggiore utilizzo del “dark web” a fini criminali.
La smentita dei diretti interessati non si è fatta attendere: “La Silicon Valley è un bersaglio facile,” ha dichiarato sempre attraverso le pagine del Financial Times un alto dirigente di un gruppo Hi-tech degli Stati Uniti, sottolineando come sia “necessario affrontare la questione fondamentale di un processo giuridico basato sulla fiducia degli utenti, la trasparenza e un giusto processo.”
Al di là delle polemiche specifiche, lo “sfogo” di Hannigan si inserisce piuttosto nel contesto del dibattito politico aperto nell’ultimo periodo a Westminster, dove sono in corso una serie di iniziative per rendere più accessibili alle agenzie di intelligence i flussi informativi che transitano sul web, un dibattito acceso che intreccia la tutela della privacy con la sempre crescente necessità di garantire una maggiore sicurezza nazionale in un contesto fluido come quello attuale. In questo senso, le dichiarazioni rese dal massimo esponente del GCHQ, nota come la più segreta delle tre agenzie di intelligence del Regno Unito, fanno presagire una convergenza tra le dichiarazioni di un esponente istituzionale e le iniziative legislative in materia di sicurezza nazionale nel Regno Unito.
La lettura in controluce dell’articolo metterebbe in evidenza anche un’implicita concessione ai sostenitori di Snowden. Infatti, sin dai primi leaks, le aziende accusate dall’ex contractor dell’NSA (tra cui Google, Yahoo, Facebook e Microsoft) hanno sempre negato di aver concesso l’accesso ai loro sistemi ai servizi di intelligence dei famigerati Five-Eyes (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda). Senonché, proprio questa denuncia dell’irrigidimento negli accessi, avvenuto da “18 mesi a questa parte”, fa molto riflettere su cosa accadesse prima.