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Libia, ecco come Isis avanza

A maggio scorso era stato il Daily Beast a lanciare l’allarme. La Libia, terra resa fragile dall’instabilità politica degli ultimi anni, sarebbe presto divenuta terreno fertile per gruppi fondamentalisti, una sorta di “Woodstock del terrorismo”.

A distanza di sei mesi le parole di Eli Lake si sono rivelate profetiche, a maggior ragione dopo che nelle scorse ore la città libica Derna è diventata prima “conquista” degli estremisti dell’Isis sul Mediterraneo.

I destini del dirimpettaio dell’Italia e quelli del gruppo di al-Baghdadi si incrociano e raccontano il rafforzamento del “Califfato”. Dopo aver preso piede in Irak e Siria, l’Isis si espande ad ovest, piantando la sua prima bandiera nera nel territorio libico e attraendo a sé Ansar al-Sharia, cellula terroristica ben armata, finora nell’orbita qaedista. La minaccia dello Stato Islamico, che ottiene così accesso diretto al Mare Nostrum, ora appare più vicina alle coste della Penisola, i cui servizi d’intelligence guardano con estrema attenzione a ciò che accade in quella che da più parti è stata definita una “nuova Somalia”.

UN PAESE ALLO SBANDO

Quel che accade non sorprende i più attenti osservatori delle vicende libiche, che però, come rileva oggi in un commento Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra, non devono cadere nell’errore di utilizzare la narrativa del terrorismo per raccontare le vicende ben più complesse che riguardano la Libia e che ne fanno oggi il campo di una battaglia che travalica i suoi stessi confini. Il Paese versa da tempo nel caos istituzionale, certificato giovedì scorso quando la Corte suprema del Paese ha disposto lo scioglimento del parlamento rifugiatosi a Tobruk, nato dalle elezioni del 25 giugno, compromettendo anche la legittimità del governo di Abdullah al-Thinni. Mentre ieri, a Shahat, nell’est della Libia, tre autobombe sono esplose mettendo a rischio la riunione tra l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, e il primo ministro. Secondo il quotidiano Libya Herald uno degli attentati è avvenuto a pochi metri dal palazzo dove si svolgeva l’incontro e avrebbe potuto avere come obiettivo anche la sede del Dipartimento di Sicurezza. Un attacco simbolico, dunque, oltre che teso a offendere. Un risultato pratico, nel frattempo, gli attentati lo hanno raggiunto: Leon è stato costretto a rivedere la sua agenda che lo avrebbe portato in diverse città libiche, in cerca di un compromesso tra le fazioni che appare ogni giorno più lontano.

VERSO L’INTERVENTO?

Dopo il fallimento di tutti gli sforzi diplomatici messi in campo negli scorsi mesi, cresce sempre più l’idea di un intervento militare, che potrebbe essere condotto da Paesi confinanti, come l’Egitto. Un’opzione vista tuttavia di cattivo occhio da chi teme che dietro il finanziamento delle differenti fazioni che si affrontano in Libia vi sia proprio l’ombra di Stati vicini che vogliono allungare le mani sulle risorse di Tripoli. Chi si oppone a questo scenario chiede che nel dibattito sui destini del Paese si coinvolgano maggiormente le correnti islamiste, tenute finora ai margini e per questo rifugiatesi in alleanze “contro natura” con gruppi para-terroristi. Non solo. Un’altra ipotesi sarebbe quella di una coalizione occidentale, nella quale l’Italia avrebbe un ruolo di primo piano. Roma rivendica da tempo un maggiore impegno internazionale per sbrogliare la matassa libica. Non è un caso che in pochi giorni siano intervenuti con posizioni comuni tre autorevoli esponenti del governo Renzi come il presidente della Commissione Difesa del Senato Nicola Latorre, il ministro della Difesa Roberta Pinotti (in visita al Cairo) e ancora ieri il nuovo titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni, che su Rai3, durante la trasmissione In 1/2 h condotta da Lucia Annunziata, ha ricordato la necessità di non commettere in Libia gli errori del recente passato, ovvere pensare “che con la sola forza, ma senza un progetto politico” si possa aiutare il Paese a superare la fase post-Gheddafi. Nel momento in cui ci fosse un’intesa, ha confermato il ministro degli Esteri, “se non altro per un governo di transizione, penso che le Nazioni Unite potrebbero andare lì con una forza di peacekeeping e l’Italia potrebbe avere un ruolo molto rilevante“.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Che qualcosa si stia muovendo lo dimostra la visita che l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, lo spagnolo Bernardino Leon, ha tenuto riservatamente in Italia nei giorni scorsi. Roma potrebbe essere il luogo che ospiterà a breve un nuovo e forse decisivo vertice internazionale sulle sorti di Tripoli, come quello avvenuto lo scorso 6 marzo.



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