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G-20, rinascita occidentale o fine di un’era?

La sensazione sgradevole, con l’avvicinarsi del prossimo G-20 – a Brisbane, in Australia, il 15 e 16 novembre prossimi -, è che la nostra civiltà si stia arenando. Ha perso vigore, capacità di attrazione, reagisce poco, male e sempre in ritardo: in altre parole, sembra inconsapevolmente rassegnata al declino. Eppure, nel bene e nel male, con la forza delle idee (e quella delle armi) l’Occidente ha dominato per secoli gli eventi del pianeta.

UN PASSATO DI GRANDEZZA

Una sola cultura era stata in grado di “contagiare” il resto del mondo. Oggi, tuttavia, siamo nelle condizioni di non comprendere se la trasformazione cui stiamo assistendo sia davvero l’inizio del nostro tramonto, oppure l’alba di una nuova era. O entrambe le cose. Se si pensa che nel 1500 le potenze occidentali europee detenevano appena il dieci per cento della superficie terrestre e contavano non più del sedici per cento della popolazione, il conseguimento di questo mezzo millennio di supremazia ha davvero dello straordinario.

Un secolo prima, la più grande città del mondo era Pechino, con una stima di 700 mila abitanti. In Europa, soltanto Parigi raggiungeva i 200 mila. Londra, insalubre, sporca, fangosa e insicura, ne contava 50 mila e Roma 30 mila. Nel 1913, undici Stati occidentali già controllavano i tre quinti del territorio e della popolazione mondiale e più di tre quarti della produzione. Nessuno, in precedenza, era mai stato così dominante. Ciò nonostante, tra non molti anni i nuovi Paesi del G.20 potrebbero surclassare quelli del G.7.

I SEI FATTORI DEL SUCCESSO

Secondo un gruppo di ricercatori che fanno capo a Niall Ferguson, professore di Storia Moderna ad Harvard (cfr. Occidente, Mondadori, 2012), sei “applicazioni” (App, come in un iPad) hanno fatto da motore. La prima è stata la competitività derivata dalla decentralizzazione della vita pubblica, politica ed economica, che ha fatto da piattaforma prima agli Stati-Nazione, poi al capitalismo.

La scienza, invece, intesa come modo di studiare, comprendere e trasformare il mondo naturale, ha dato all’Occidente un netto vantaggio di capacità anche militare. Identica cosa per lo stato di diritto, idoneo a proteggere la persona, la proprietà privata e risolvere le controversie, condizione indispensabile per realizzare una Società più sicura e ordinata.

La medicina – intesa come ramo della scienza, e non più come superstizione – assieme all’igiene, ha innalzato l’aspettativa di vita nella società occidentale, ma anche, sia pure in misura inferiore, nelle lontane colonie. Il consumismo, sviluppato in Occidente molto prima che altrove, è stato di stimolo per la Rivoluzione industriale. Da ultimo è finalmente arrivata l’etica del lavoro, che ha fornito il collante indispensabile per catalizzare la dinamica delle prime cinque “applicazioni”.

UN FUTURO A RISCHIO

Accettato ciò, si può a ragion veduta affermare che il punto di vantaggio dell’Occidente sul resto del mondo è stato l’essere arrivato prima degli altri ad un più funzionale assetto istituzionale. In questa voglia di supremazia è stato anche fortunato, perché parallelamente alla sua ascesa si è verificato il fenomeno di implosione dei suoi possibili competitori.

In Cina, ad esempio, per una lunga serie di concause la dinastia dei Ming è arrivata al collasso verso la metà del 1600. E’ poi iniziato il declino del colosso del mondo musulmano, l’Impero ottomano. Se le nuove istituzioni politiche nord-americane sono state coronate dal successo, l’America latina – nonostante i lodevoli sforzi di Simon de Bolivar – è invece rimasta al palo.

Oggi tutto ciò sembra invertirsi: riuscirà l’Occidente, in questo mondo globalizzato, ad evitare che le sensazioni sgradevoli diventino realtà? Forse si, ma dovrà impegnarsi molto, ritornare “forte” e unito sotto ogni profilo. Churchill, in Civilization, scriveva: “La civiltà non durerà, la libertà non sopravvivrà, la pace non si conserverà, se una vasta maggioranza dell’umanità non si unirà per difenderle e mostrarsi in pieno possesso di una potenza coercitiva di fronte alla quale le forze barbare e retrograde si inchineranno con soggezione”.

Il lettore andrà con il pensiero alla pressione delle masse asiatiche ed al risveglio di quelle islamiche, all’indigenismo sudamericano ed alle migrazioni dall’Africa nera. Infatti, nell’Assemblea Generale sono proprio queste le forze che, originate da decine di frammentazioni, da tempo si sono costitituite in maggioranza. Quindi, non è dall’Onu che verrà la salvezza dell’Occidente: dobbiamo proprio pensarci noi, da soli. Oggi, la principale minaccia è rappresentata non tanto da altre civiltà, quanto dall’inazione in cui ci stiamo cullando e dall’ ipocrisia buonista che la favorisce.



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