Il terrore, lo sdegno e la rabbia per le decapitazioni dell’Isis – ultima quella del giovane americano Peter Kassig -, non devono ingannare: il Califfato nero continua ad inanellare severe sconfitte, che ne stanno ridimensionando la portata.
L’ultima settimana è stata una delle peggiori per il gruppo terroristico guidato da Abu Bakr al-Baghdadi, che la rivista finanziaria Forbes ha inserito al 54° posto della classifica dei 72 uomini più potenti del pianeta.
LA PERDITA DI BEIJI
A pesare, spiega Associated Press, è stata soprattutto la perdita di Beiji, città petrolifera a nord di Baghdad e sede di un giacimento strategico per le finanze dello Stato Islamico, tornato così nelle mani delle Forze militari irachene.
IL CONTROLLO DEL TERRITORIO IRACHENO (INFOGRAFICA)
(clicca sull’immagine per ingrandire – fonte: Institute for the Study of War/Vox)
I RAID CONTRO I VERTICI
Altre defezioni importanti sono arrivate dai raid della coalizione che riunisce Stati Uniti e altri Paesi occidentali e del Golfo. Il primo, rileva il britannico Guardian, ad al-Qaim, vicino al confine siriano, dove hanno perso la vita il leader della provincia di Anbar e quello dell’importante regione del fiume Eufrate. Vicino a Mosul, invece, un uomo di fiducia di al-Baghdadi è stato ucciso da un secondo bombardamento. Mentre a fine ottobre i jihadisti avevano già perso un’altra roccaforte, Jurf al-Sakhar, nel governatorato iracheno di Babil.
LA LOTTA PER KOBANE
Persino la battaglia per la città curda di Kobane, in Siria, propagandata come una delle più grandi conquiste del Califfato, è ancora lontana dall’essere sotto il controllo jihadista.
UN CAMBIO DI PASSO
La causa di questa sofferenza, sottolinea il corrispondente di Vox, Zack Beauchamp, risiede in tre aspetti principali.
In primo luogo, anche se gli attacchi aerei non sconfiggeranno l’Isis, stanno paralizzando di fatto ogni progresso del gruppo terroristico, causandogli danni ingentissimi in termini economici, organizzativi e di vite umane. I raid impediscono che i terroristi si muovano con tranquillità in spazi aperti e bloccano lo spostamento di forze e attrezzature in gran numero. Così lo Stato Islamico non può espandersi, ma solo conservare quanto conquistato finora.
Secondo, i nemici dell’Isis si stanno adattando. Il gruppo di al-Baghdadi, per molti analisti, è una potenza militare solo a causa della debolezza e dell’impreparazione dei suoi nemici. Lacune che, a poco a poco, vengono colmate anche grazie al supporto americano.
Terzo ed ultimo punto, il fatto di aver voluto dichiarare la nascita di un Califfato, ha di fatto ridotto le opzioni militari dell’Isis. I terroristi, infatti, sono costretti a mostrarsi sul territorio per segnalare la loro presenza alle popolazioni locali. Ciò ne ha aumentato la vulnerabilità in modo esponenziale.
LA GUERRA DEI 30 ANNI
Ciò non significa, però, che la vittoria contro l’Isis sia vicina. La guerra contro i jihadisti, come ipotizzato dall’ex segretario della Difesa Leon Panetta in un libro recente, potrebbe davvero durare 30 anni. E a testimoniarlo c’è la recente intervita di Fuad Hussein, capo di gabinetto del presidente curdo, Massoud Barzani, che in un’intervista concessa domenica 16 novembre all’Independent ha ammesso che la Cia ha sottostimato la grandezza dell’esercito di al-Baghdadi. Le stime dell’intelligence americana lo avevano quantificato in 31mila e 500 unità, mentre il gruppo comandato dal Califfo sarebbe circa sette od otto volte più grande, raggiungendo il numero ragguardevole di almeno 200mila soldati. E non è ancora chiaro se, anche in virtù di questo (e del riavvicinamento della sorelle petrolifere in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo), Barack Obama cambierà strategia, autorizzando la partecipazione ad azioni offensive di truppe Usa, auspicata dal suo principale consigliere militare, il capo dello Stato maggiore interforze, Martin Dempsey.