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“Delle riforme”, le proposte per cambiare il Paese secondo Gabriele Albertini

Alle dieci del mattino, non un minuto più, non un minuto meno, salgo le scale per raggiungere il suo studio. Se devo essere sincero mi aspettavo di passare per intercessione di qualche tipo di collaboratore, una segretaria, che so! Niente di tutto questo. C’era solo lui ad aspettarmi nell’atrio antistante l’ingresso. In piedi, vestito tutto d’un pezzo di un grigio elegante. Una volta entrato, ho perlustrato –sotto il suo sguardo sottilmente compiaciuto- la stanza ricca di cimeli di spessore, poi mi ha offerto un buon caffè, con la gentilezza del padrone di casa e l’educazione di un uomo di altre epoche. Pensai alle parole che Montanelli in tempi “non sospetti” aveva speso per lui. Scriveva: “Quest’uomo dall’apparente remissività, persino umile, che mai alzerebbe la voce o pesterebbe il pugno sul tavolo, di un’ingenuità quasi fanciullesca è un duro che si spezza ma non si piega”. Quel “duro” dalla personalità umile è Gabriele Albertini. Un ventennio speso in politica. Sindaco di Milano per due mandati  (dal 1997 al 2006), eurodeputato, vicepresidente della delegazione del Parlamento Europeo per le relazioni con la Nato, Presidente della Commissione Affari Esteri al Parlamento Europeo, Senatore della Repubblica dal 2013.

Ci sediamo su lati opposti della scrivania ed iniziamo l’intervista.

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Senatore, l’esigenza di riformare il nostro Paese l’ha portata – insieme ad altri illustri nomi- a partorire un contributo al testo dal titolo “Delle riforme” (un libro a cura di Ivan Rizzi, presidente dello IASSP). Mi racconti il suo punto di vista. Quali sono le riforme di cui necessita il nostro Paese?

Tra le proposte di riforme elaborate nel testo ho fatto una scelta di priorità. Mi sono concentrato sulla Flat tax e sull’articolo 18. Quest’ultimo è già in una fase attuativa e devo dire che quello del Governo Renzi –tra tutti i tentativi reiterati negli anni- sembra quello più vicino alla meta. Si attuerà una riforma che vuole allinearsi al resto d’Europa. Non c’è infatti in nessun Paese europeo una condizione come quella inserita nell’articolo 18 della Legge 300 (che già nel 1985 il CNEL definiva obsoleta), in cui il datore di lavoro spesso decide di non assumere perché si vede di fronte ad un vincolo troppo stretto. Anche in riferimento alla legislazione tedesca- presa sovente come paradigma- siamo indietro. Per la legislazione tedesca esiste il reintegro ma solo sulla base di conciliazione, un po’ come funziona tra una coppia che si è separata e tenta la via del dialogo. Questo argomento non è un totem, né un tabù: l’abolizione dell’Art. 18 è proprio un fatto funzionale perché blocca il meccanismo delle assunzioni. Mi piacerebbe fare un referendum dedicato ai precari e alle persone che hanno un contratto di tipo determinato (rinnovabili sì, ma sempre con l’incubo di ritrovarsi senza lavoro) in cui si chiede loro se preferiscano rimanere nella condizione attuale o se preferiscano invece avere un contratto a tempo indeterminato con la possibilità per il datore di lavoro di licenziare ove non ritenesse utili le funzioni svolte.

Lei però parla (anche) da imprenditore…

Certamente. L’imprenditore l’ho fatto per diversi anni con la ditta Albertini (fondata nel 1932 e passata nel 2006 ai F.lli De Angelis e per merito di questi divenuta oggi la più grande impresa d’Europa del settore) e ricordo che già mio padre mi insegnava che la qualità, il valore dell’individuo e le risorse umane sono il motore dell’azienda. E l’imprenditore (il bravo imprenditore) investe su questo, quindi ha senso secondo me lasciargli la possibilità di poter selezionare il suo personale e mantenerlo secondo criteri di serietà, professionalità, bravura. Certo, poi ci sono anche gli imprenditori che si comportano in maniera scorretta. In quei casi dovranno essere previste delle indennità per i lavoratori.

La sua proposta di riforma comprende l’introduzione della Flat Tax. Cosa c’è che non va nel sistema tributario italiano?

La nostra Costituzione prevede la progressività fiscale e ritiene- in maniera molto impropria- che la capacità di produrre ricchezza e di aumentare il valore della comunità, debba essere calmierato entro certi limiti. Non immaginando che in realtà non è solo per egoismo o avidità che si accumulano capitali, ma molto spesso, specie in ambito imprenditoriale i capitali si accumulano per moltiplicarli. C’è un episodio molto curioso che posso raccontarle. Ero in vacanza con la mia famiglia in barca, una cosa da privilegiati per quei tempi. Chiacchierando con un simpatico napoletano dell’equipaggio finimmo col divagare su una storia a cui non avevo motivo di non credere. In napoletano stretto mi raccontò che uno dei Rothschild (presumibilmente il padre) alloggiò da quelle parti per un certo periodo e noleggiò lo stesso veliero su cui eravamo noi. Si dice fosse un tipo micragnoso e taccagno, al tal punto da pretendere di andare personalmente a fare la spesa e verificare i prezzi delle cose che acquistava. Quel napoletano mi raccontò che un giorno Rothschild, recatosi al mercato, trattò sul prezzo di un cocomero (si trattava di 5 lire)… “Ingegnè” –così mi chiamava. “Gli chiesi a Rothschild: ‘Lei che è ricco e conosciuto in tutto il mondo perché ha fatto una questione per 5 lire?!”.  “Lo sa che me rispose ingegné?” Mi dica!- gli risposi io. E lui: “mi spiegò che 5 lire è il 5 % di 100 lire”! A parte la nevrosi di  Rothschild è chiaro che ad un certo punto di ricchezza il denaro non serve per la propria vita. Non serve per accumulare, ma serve per moltiplicare. Il denaro diventa un’entità matematica. Uno finisce per amministrare il denaro per funzioni che servono allo sviluppo.

E questo cosa c’entra con la tassazione?

Voglio dire che la tassazione progressiva del nostro sistema attuale è impropria perché pone un tetto alla capacità di produrre ricchezza e la penalizza diventando una limitazione allo sviluppo. Dal punto di vista sociale l’esempio che faccio nel libro è quello del racconto di Robinson e Venerdì, descritto da Adam Smith: immaginiamo che i due personaggi si ritrovino su un’isola deserta ed abbiano a disposizione una somma di denaro rispettivamente pari a 100.000 e 10.000 euro. Non essendoci acqua sull’isola, l’unico modo per dissetarsi è mediante un pozzo, il cui accesso è determinato attraverso il pagamento del 33% del loro reddito complessivo. Pertanto, Robinson si ritroverà a pagare 33.000 euro e Venerdì 3.300, pur avendo usufruito del medesimo bene. Un’alternativa a tale effetto potrebbe derivare dall’introduzione di una quota di esenzione fiscale, pari a 12.000 euro annui più 6.000 per ogni famigliare a carico, ed il 33% verrebbe applicato come aliquota unificata al di sopra della soglia esente. Inoltre, attraverso una modifica della legislazione fiscale potrebbe essere inserita una più ampia deducibilità delle spese quali, affitti, spese alimentari, vestiario per le classi di reddito mediane.

Inoltre, un’altra alternativa, potrebbe scaturire dall’introduzione di una flat tax, ovvero una tassazione con aliquota unica sia sulle imprese che sulle famiglie. L’introduzione di un tale tipo di imposta rispetterebbe, da un punto di vista economico, contemporaneamente i criteri di efficienza, equità e semplicità che un eccellente sistema tributario dovrebbe possedere.

La flat tax risulterebbe efficiente, in quanto le imprese sarebbero incentivate maggiormente ad assumere, via minor carico fiscale; equa perché non vi sarebbe disparità di trattamento tra i soggetti contribuenti, riducendo al contempo l’evasione fiscale, quest’ultima frutto – nella maggior parte dei casi – dell’elevata tassazione ed infine semplice, perché eviterebbe ad ogni contribuente di incorrere in elevate e complesse procedure burocratiche, assolte solo attraverso le consulenze dei tributari.

 Le proposte ci sono. Viene da pensare che il problema sia qualcos’altro: come si riforma l’Italia?

Credo che il nostro Paese abbia la necessità di una riforma della “concordia”. C’è la necessità di riacquistare i valori di fraternità, di comprensione. La Germania –sempre per riprenderla come esempio- è incappata in disastri che tutti conosciamo, ma allo stesso tempo è riuscita a volere un’egemonia fino a realizzare i più grandi successi economico-politici.

E in Italia? Quanto tempo ci vuole ancora per fare le riforme di cui necessita il Paese?

Definire un tempo è sempre cosa ardua. Bisogna eliminare populismi e demagogie (che negli ultimi anni hanno avuto consensi notevoli nella politica italiana). Siccome le riforme di cui abbiamo bisogno toccano interessi di vario genere non sarà facile. Sono passati 30 anni ma spero che ce ne bastino 10. Se ci saranno 10 anni di leadership di concordia allora si potrà trovare una via.

Sta dicendo che la mancanza di Concordia è il problema dell’Italia?

Esattamente. Guardi, le consiglio la lettura di un libro: si intitola: “Dall’Impero alla Repubblica”. Quel libro spiega bene quanto e come -dalla caduta dell’Impero Romano fino alla Repubblica- il nostro paese sia stato sempre diviso. Nel bene e nel male siamo figli della nostra storia e divisi lo siamo sempre stati. Adesso bisogna capire che c’è bisogno di cercare di andare d’accordo per il bene del Paese e di noi tutti italiani.

Luigi Carnevale

© Riproduzione riservata

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