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Vi spiego cos’è il nudging. Parla Floridi

Il nudging è un tentativo che i leader politici e aziendali stanno facendo di disciplinare e orientare società divenute ormai troppo complesse. Barack Obama è stato il primo a utilizzare questo metodo. Subito seguito da Cameron, che ne è diventato il più entusiasta sostenitore al punto che ora vuole vendere all’estero il modello applicato dal suo team.

Tra mille polemiche, poche settimane fa il metodo è stato adottato anche da Angela Merkel. Lo scopo del nudge, della “spinta gentile”, è quello di indirizzare i cittadini, inconsapevoli, verso decisioni che il governo reputa migliori per la loro salute, benessere, gestione del denaro. Uno staff composto da economisti comportamentali, antropologi, sociologi e neuroscienziati studia le tecniche che servono a influenzare silenziosamente la popolazione nelle scelte.

Con il nudging, Cameron ha convinto i sudditi di Sua Maestà a non ricorrere al pronto soccorso a ogni minimo malessere. Li ha spinti a pagare le tasse puntualmente: un semplice cambiamento nella scrittura delle lettere di sollecito (da “hai pagato le tasse?” a “la maggior parte dei cittadini con la tua stessa aliquota ha già pagato”) è bastato ai nostri vicini protestanti per precipitarsi dal commercialista. Ha portato risultati anche nella riduzione della disoccupazione.

E ancora: il nudging si avvale di tecniche che utilizzano suoni e colori disciplinando i comportamenti nelle aree di attesa di aeroporti e stazioni inglesi; di trompe l’oeil sull’asfalto in prossimità delle scuole per convincere gli automobilisti a rallentare, e così via.

La “spinta gentile” agisce in maniera subliminale, riducendo il libero arbitrio ma, se ben fatto, aumentando l’autonomia. Parte dal presupposto che non siamo in controllo del nostro cervello e delle nostre decisioni e che agiamo in modo inconsapevole, condizionati da fattori biologici, chimici, e molto sensibili anche alle dinamiche di relazione. Il nudge è dunque più “gentile” di un incentivo, di una legge o di una sanzione, ma anche più pericoloso. Il mito dello Stato neutrale viene meno. E questo può essere un bene e un male a seconda dell’intenzione di chi lo mette in atto.

Certamente uno strumento subdolo. Ad aumentare i rischi potrebbe essere la complessità che i governi si trovano a fronteggiare in quest’era di cambiamenti globali sul fronte finanziario, sanitario, della difesa. Gestire questa complessità al meglio potrebbe richiedere politiche meno favorevoli ai cittadini. Controllare i limiti etici del nudging significa entrare a gamba tesa nell’interazione tra politica e tecnologia. A causa dell’utilizzo dell’anticipatory computing: il nuovo protagonista dell’era di Internet; ovvero la capacità della tecnologia di anticipare il futuro basandosi sui dati del passato, attraverso l’impiego di algoritmi. Giorno dopo giorno lasciamo tracce dei nostri gusti e orientamenti sul web. Lo facciamo attraverso i social network e i motori di ricerca, le mail e gli sms. I dati vengono raccolti e utilizzati per costruire modelli previsionali su cui aziende e governi possono contare per proporci di acquistare cose che probabilmente ci piacciono, o per indirizzarci nei comportamenti, rafforzando le nostre scelte.

L’algoritmo suggerisce le nostre prossime mosse a chi ha interesse a prevenirle per ragioni economiche, politiche, o di tutela della sicurezza nazionale. Per inquadrare meglio la funzione dell’anticipatory computing nella politica e nel nudging, dobbiamo allargare la visuale e mettere a fuoco alcuni punti che superficialmente vengono dati per scontati. È sorprendente infatti quanto rapidamente ci siamo assuefatti all’evidenza che le tecniche e le strategie commerciali usate dalle aziende siano le stesse utilizzate dalla politica. E al fatto che le grandi aziende tecnologiche si comportino come nazioni, gestendo i flussi informazionali locali e globali che determinano le nostre vite al posto degli Stati. Non ci stupisce dunque la nomina da parte di Obama di Megan Smith, già vice presidente del misterioso laboratorio tecnologico Google x, dove si dice vengano studiati progetti futuristici, al ruolo di technology chief officer del governo americano. E non ci allarma come, di fatto, l’Unione europea abbia recentemente abdicato in favore di Google ammettendo implicitamente di non essere più totalmente in controllo di quelle che sono le politiche nazionali o sovranazionali di base. Parliamo ovviamente della sentenza della Corte europea che forza Google a entrare in una decisione quasi giuridica (quella sul diritto all’oblio).

Una sentenza che palesa l’intersezione tra mondo aziendale globale e mondo politico locale. A essere tirati per la giacchetta dai governi ormai in crisi d’identità, e dalle aziende globali, che necessitano maggiore dia-logo nella gestione del nuovo, enorme, potere, sono i filosofi etici europei, come Luciano Floridi, professore di Etica dell’informazione all’Università di Oxford e membro dell’Advisory council di Google per il diritto all’oblio. “Potremmo assistere presto alla scomparsa di ciò che abbiamo sempre inteso per politica. La politica infatti nasce come gestione del consenso e del dissenso in una società complessa. Ma oggi, a causa della mole di informazioni senza precedenti che viene prodotta e fruita, consenso e dissenso necessitano di un continuo aggiustamento. Quindi la mediazione diventa sempre più sottile. E anche il ruolo del mediatore. Il distacco tra sociale (privato) e politico (pubblico) diventa più labile. Il politico si sta legando sempre di più al commerciale e al massmediatico nella creazione di consenso e dissenso solo perché stanno rapidamente cambiando le ragioni stesse della politica”.

Oggi la geo-politica sembra dominata dal mondo dell’Ict, con le grandi aziende tecnologiche, e da quello della finanza, anche con le internazionalizzazioni. Finanza e Ict sembrano ridisegnare i confini del globo. Tra loro si parlano?

Il mondo della finanza e il mondo della tecnologia da un lato, il mondo del sociale e quello del politico dall’altro possono essere immaginati come i quattro punti di un ideale quadrato della geo-politica internazionale. A volte si parlano, a volte no. A volte si incontrano, altre no. Quello che lascia perplesso il filosofo è che questi incontri siano casuali, non determinati da metapolitiche, da un programma. Manca un progetto umano. Venute meno le grandi narrative novecentesche, si lascia fare al caso delegando all’individuo. Il che è tranquillizzante in termini di libertà, ma preoccupante se si pensa che in mancanza di riferimenti, spesso il vuoto viene riempito non da valori individuali condivisibili, bensì da narrative fondamentaliste spesso a sfondo religioso.

Le nuove narrative fondamentaliste nascono già perfettamente inserite nell’infosfera; i gruppi sono agili nella gestione dei dati e in grado di usare le informazioni come armi. Non è assurdo pensare che potrebbero sfruttare, se ben finanziati, nudging e anticipatory computing prima e meglio dei nostri governi nazionali, destabilizzati dalla complessità. Come la politica potrebbe tornare alla P maiuscola in un’era dominata della tecnologia e dai flussi informazionali?

Ripensandola come un’azione di coordinamento. Solo allora tornerebbe ad avere una cruciale importanza. Se il politico, e con lui la tecnologia, diventasse una sorta di carrucola in grado di trasformare i singoli progetti di ogni cittadino in un progetto globale intorno al quale si può creare consenso, allora tornerebbe quella P maiuscola.

Il nudging applicato in questo contesto non sarebbe dunque negativo; e anche l’anticipatory computing potrebbe essere sfruttato al meglio. Bisogna però imparare a usarlo. Come?

I politici, usando un gioco di parole, dovrebbero anticipare gli errori dell’anticipatory computing. Prevenire a monte, invece che correre ai ripari quando è già tardi. Ma su questo non sono troppo ottimista. La storia ci insegna che l’uomo impara dai propri errori, e difficilmente riesce a evitarli prima di averne subito le conseguenze.



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