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Perché leggendo D’Alema mi sento renziano. Parla Giuliano Cazzola

“Ho stima di Massimo D’Alema. Lo considero una delle poche testi pensanti non solo della sinistra ma della politica italiana tanto da aver sempre trovate singolari le ostilità da lui incontrate all’interno del suo partito, nonostante che sia stato l’unico ex pci a varcare la soglia di Palazzo Chigi da presidente del Consiglio. La sua intervista al Corriere della Sera, però, non mi ha convinto”.

Così Giuliano Cazzola inizia la conversazione con Formiche.net sull’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera in cui l’ex premier tenta di rottamare la nuova terza via culturale del presidente del Consiglio. “Lei sa – dice Cazzola – che io ho scarsa stima e ancor meno simpatia per Matteo Renzi e il suo governo. Nel mio piccolo, non passa giorno senza che mi avvalga dell’ospitalità di Formiche.net per rivolgergli delle critiche. Considero però quelle di D’Alema in parte generiche e non argomentate, in parte dettate soltanto da spirito polemico e infine in parte ambigue”.

Perché ambigue?
Cominciamo dalla prima. Che cosa significa che bisogna ripensare il ruolo dello Stato nell’economia? Se non si precisano i termini di questo intervento D’Alema può anche accusare Renzi di andare indietro di vent’anni, ma lui rischia di tornare indietro di 50 anni.

Che cosa intende dire?
Ha forse nostalgia della programmazione, dei piani settoriali elaborati a tavolino con il compito di “orientare” le produzioni. Rimpiange il sistema delle Partecipazioni statali che alla fine del loro ciclo producevano più disavanzi che fatturato, sia pure in un contesto economico dinamico? Poi, sarà ora di dirsela la verità!

Diciamola. E qual è?
Il problema principale degli investimenti pubblici non è la mancanza di risorse, ma la scomparsa dello Stato. Non esiste un ruolo dello Stato in economia senza una ri-centralizzazione dei poteri decisionali (se ben ricordo la riforma del titolo V la dobbiamo ad un governo di centro sinistra, forse addirittura al suo). L’autostrada del Sole si completò in 8 anni.

E che c’entra l’autostrada del Sole?

C’entra. Ora basta una comunità di valligiani (si veda il caso della Tav in Val di Susa) per obbligare alla militarizzazione di un’opera cruciale per il trasporto europeo. E’ sufficiente che si metta di traverso un comunello per bloccare il terzo gasdotto, essenziale per la sicurezza del nostro fabbisogno energetico. E che dire del ruolo della magistratura?

E che c’entra la magistratura?
Lei crede che ai tempi dell’autostrada del Sole non girassero mazzette? L’Eni di Enrico Mattei riforniva di armi il FLN algerino e aveva a libro paga una buona dose di parlamentari e correnti di partito. Stampava un giornale. Oggi la magistratura fa saltare grandi operazioni di export di armamenti come se fosse possibile darvi corso senza pagare commissioni o mediazioni che spesso odorano di mazzette. So benissimo che ragionamenti siffatti rischiano di apparire “politicamente scorretti”, ma la crisi della siderurgia in Italia non l’ha provocata Angela Merkel. Credo che D’Alema, che non è un forcaiolo, possa riconoscermi qualche ragione.

D’Alema dice che è errato sostenere che prima di Renzi nulla è stato riformato.
Su questo D’Alema ha ragione. Le riforme sono state fatte anche prima che arrivasse Renzi. E sono state anche riforme importanti. Ma l’ex lider maximo non deve smentire se stesso. Ricordo benissimo un suo discorso, credo proprio a Firenze, quando si riunì con Bill Clinton e il presidente brasiliano. Allora ammise – con un tocco di intelligente ironia che mandò sulle furie Sergio Cofferati – che la riforma Dini era stata fatta mando da pagare il conto alle giovani generazioni. Ma non osò andare fino in fondo a sfidare la Cgil che ha difesa oltre ogni ragionevolezza le pensioni di anzianità che sono state non solo il bubbone del nostro sistema pensionistico ma anche la violenza e l’ingiustizia perpetrate contro le giovani generazioni.

D’Alema quando era a Palazzo Chigi aveva idee un po’ renziane… O no?
Come presidente del Consiglio d’Alema fu sconfitto dalla Cgil (si vendicò di Cofferati come leader di partito al congresso di Pesaro). Del Patto di Natale (che volle persino far votare dal Parlamento) nessuno ricorda più nulla. La Cgil non volle mettere mano alla riforma della contrattazione e così fu, con un vero e proprio spreco di riformismo che ha richiesto almeno un decennio per impostare un nuovo modello di relazioni industriali, tuttora osteggiato dalla Fiom. A Renzi si dovrà pur riconoscere che ha il coraggio di sfidare quella sinistra reazionaria che, fino ad oggi, ha tarpato le ali a quel poco di riformismo che la sinistra di governo ha saputo esprimere? Se non ricordo male D’alema era ministro degli Esteri dell’ultimo Governo Prodi, il quale, per ottenere l’adesione della Cgil al patto sul welfare del 2007 dovette minacciare le dimissioni.

E se la sortita dell’ex premier al Corriere della Sera avesse come vero obiettivo di ostacolare il Jobs Act di Renzi con la riforma dei licenziamenti? Eppure l’ex premier…
Bravo. Veniamo all’articolo 18. Anche il questo caso potrei citare scritti o discorsi di D’Alema nei quali a questo problema veniva data più importanza di quella riscontrabile nell’intervista. Ma alle persone intelligenti si può anche riconoscere il diritto di cambiare opinione. Io sono il primo a rivendicarlo per me. Che la revisione della disciplina dei licenziamenti sia uno snodo per il Paese lo dimostra il fatto che Bruxelles ha concesso una prova d’appello alla legge di stabilità, in attesa di osservare quello che il Governo farà sui licenziamenti. Che l’Ocse dica che l’Italia è un Paese in cui il lavoro è flessibile non c’entra con questo problema, nel senso che la nostra flessibilità è tanta in quella parte dell’economia (la maggioranza) che è in grado di sottrarsi alle regole del mercato del lavoro. Infine – ecco l’ambiguità della risposta – che cosa lamenta D’Alema? Che il contratto di nuovo conio valga solo per i nuovi assunti e non per tutti ? Se è così, chapeau, sono d’accordo. Oppure che quella partita sia stata aperta? Se è così, uno della sua statura politica dovrebbe sapere che Civati e Fassina non sono di certo meglio di Renzi.



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