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Tutti i dilemmi dell’acqua

Il servizio di raccolta, purificazione, trasmissione dell’acqua nel nostro paese rappresenta il paradigma di un’unificazione nazionale realizzata a metà. Complessità e ritardi a livello locale lo rendono un comparto arretrato rispetto agli altri settori energetici. Nonostante l’Italia presenti le tariffe più ridotte in Europa. O forse per tale ragione. Perché la ritrosia a pagare le forniture idriche costituisce un freno allo sviluppo di una moderna cultura industriale.

È questo il panorama emerso nel corso del convegno “Il settore dell’acqua: la nuova regolazione dei servizi idrici”, promosso dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e le risorse idriche presso la sede dell’Enea-Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.

L’impossibilità di una piena concorrenza

Una tema che, senza considerare l’enorme valore geo-politico dell’“oro blu”, rientra in una cornice regolamentare europea ben precisa. Mirante – spiega il funzionario del Dipartimento per il coordinamento, gli affari giuridici e le relazioni istituzionali dell’Authority Mario Vanni – a recuperare tramite le tariffe tutti i costi di gestione, a garantire un’elevata protezione ambientale, a ridurre il consumo di una risorsa preziosa.

Fino a poco tempo fa l’erogazione dell’acqua era ritenuta un comparto fortemente pubblico e a vocazione comunale. L’esigenza di investimenti rilevanti lo ha trasformato in un settore di carattere provinciale, nel quale ogni area è coperta da un gestore unico soggetto al controllo delle “autorità di ambito territoriale” frutto dell’aggregazione di differenti centri abitati.

Pur favorendo la partecipazione di gruppi privati nel servizio idrico, non è stato creato un regime di piena concorrenza fondato sulla libera scelta dei consumatori tra varie opzioni. La strada privilegiata è un processo di industrializzazione orientato all’efficienza.

Il ruolo dell’Authority

Tuttavia spesso le amministrazioni locali hanno mantenuto ridotte le tariffe, per ragioni di consenso politico. All’aumento dei consumi non è corrisposta quindi una crescita adeguata dei costi in bolletta. Fenomeno che non ha consentito un incremento degli investimenti necessari.

Una svolta significativa è avvenuta nel dicembre 2011, quando il decreto legge “Salva Italia” del governo guidato da Mario Monti ha affidato all’Autorità per l’energia l’intera regolamentazione e vigilanza del comparto idrico. A partire dalla fissazione dei parametri per determinare i prezzi. Le competenze in tema di qualità delle risorse idriche attengono invece al Ministero della Salute.

Ricondurre alla mano pubblica l’erogazione dell’acqua

Un ulteriore cambiamento si è verificato con i referendum abrogativi del giugno 2011.

Consultazioni che hanno restituito alle amministrazioni locali piena libertà nel conferimento delle forniture idriche: gestione pubblica, gara aperta per una concessione, convenzione con un’azienda mista pubblico-privata.

Le richieste popolari puntavano poi a rimuovere dalla bolletta il principio di remunerazione adeguata del capitale investito dai gestori. L’obiettivo era eliminare ogni margine di profitto sul servizio, per liberarlo del tutto dalle logiche economiche.

Remunerazione dei costi, non del capitale

Ma il governo dell’epoca, guidato da Silvio Berlusconi, volle muoversi in una diversa direzione. Attraverso un decreto legge emanato prima del referendum e convertito all’indomani della consultazione, decise di applicare nella legislazione nazionale le regole europee che prevedono la copertura dei costi finanziari, operativi, ambientali, di canalizzazione e distribuzione dell’acqua.

La differenza tra i due tipi di remunerazione non è lessicale.

Prima dell’approvazione delle richieste abrogative era previsto un margine di profitto, fissato al 7 per cento delle spese sostenute e finalizzato ad agevolare gli investimenti produttivi. Un’entrata economica superiore all’equilibrio tra costi e ricavi. Equilibrio che guida invece la filosofia comunitaria: tramite le tariffe il gestore deve recuperare le risorse utilizzate per gli interventi di adeguamento, manutenzione e modernizzazione degli impianti.

Il responso della giustizia amministrativa

Una scelta contestata dai comitati promotori dei referendum, che la ritenevano in contrasto con il responso popolare. E criticata da molte compagnie di fornitura dell’acqua che consideravano sotto-stimate le nuove tariffe fissate dall’Authority.

Nacque così un’accesa controversia fatta di ricorsi giurisdizionali. Ma la legittimità del nuovo regime è stata riconosciuta dai tribunali amministrativi regionali.

A partire da quello di Milano, che in consonanza con le riflessioni dell’attuale Guardasigilli Andrea Orlando non reputa superata la “natura e l’interesse economici” presenti nella raccolta, depurazione, trasmissione e fornitura del “bene comune” acqua. Perché il “ciclo produttivo implica costi per gli operatori”. Le cui spese devono avere “riscontro integrale” nella bolletta. Un fattore essenziale, rilevano i giudici del capoluogo lombardo, per l’autosufficienza economica della gestione.

Come si formano le tariffe del servizio idrico?

Un conflitto culturale, politico e giuridico che incide sulle bollette per la fornitura dell’acqua. Per troppi anni soggette a calcoli eterogenei da parte delle amministrazioni locali. Per tale ragione l’Authority ha proceduto a una razionalizzazione e omogeneizzazione dei criteri guida. Ma come si forma la tariffa?

A illustrarlo è Lorenzo Bardelli, direttore Sistemi idrici dell’organismo indipendente di controllo e vigilanza: “All’inizio vengono chiarite le criticità rilevate nel territorio. Poi viene indicato quanto le si vuole affrontare, con l’elencazione degli interventi necessari e la valutazione delle risorse finanziarie per investimenti che possono essere eventualmente inserite in bolletta. Il tutto tenendo conto delle difficoltà dei gestori con meno capitali”.

Gli aumenti tariffari devono rispettare limiti ben precisi – tra 6,5 e 9 per cento al massimo – stabiliti dall’Autorità. E, come ricordato, non vanno a coprire i costi aziendali bensì gli interventi richiesti: nella gran parte dei casi depurazione, ammodernamento degli acquedotti – oggi la perdita di risorse idriche sfiora il 33 per cento ed è molto rilevante nel Mezzogiorno – sicurezza delle fonti, informatizzazione delle reti di trasmissione.


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