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Libia, che cosa ha deciso l’Onu

nato

In uno dei momenti più complessi dall’inizio della crisi libica, il Paese vive un nuovo momento di speranza grazie a un inaspettato rilancio della missione dell’Onu, guidata dallo spagnolo Bernardino Leon.

Le Nazioni Unite, come riporta tra gli altri l’agenzia Reuters, convocheranno “a breve un nuovo giro di colloqui tra i partiti locali in conflitto tra loro per provare ad arrivare a una soluzione degli scontri che minacciano anche la produzione petrolifera“.

LA DICHIARAZIONE CONGIUNTA

L’intento è stato messo nero su bianco in una dichiarazione congiunta (qui il testo integrale) dei ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, del segretario di Stato americano John Kerry, dell’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica Mogherini, e del vice segretario generale delle Nazioni Unite per gli Affari Politici.

Una dichiarazione importante – ha spiegato dalla ministeriale Nato, a Bruxelles, il titolare della Farnesina, Paolo Gentilonifrutto di una colazione di lavoro nella sede della rappresentanza italiana presso la Nato, che era stata da noi sollecitata, con sei paesi e due organizzazioni internazionali“.

LA LINEA DI ROMA

Roma sponsorizza da tempo la linea del dialogo tra le parti e oggi raccoglie i frutti di un delicato lavoro svolto sia a Roma, sia sul territorio dalla diplomazia italiana, guidata dall’ambasciatore Giuseppe Buccino. Quella della Penisola è d’altronde l’unica ambasciata di “peso” ad essere rimasta aperta a Tripoli ed anche una delle poche a non essere stata, finora, oggetto di “attenzioni” particolari.

Anche per questo, il documento rilancia le potenzialità del ruolo di mediazione dell’Italia, che in Libia ha interessi diffusi.

IL RUOLO DELL’ITALIA

Si tratta del primo goal del nuovo ministro degli Esteri italiano“, commenta a Formiche.net Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations di Londra. Per l’esperto, ad essere decisivo per un rilancio dell’azione dell’Onu è stato l’asse tra Italia e Regno Unito, che ha consentito alla posizione di Roma di rafforzarsi.

L’ASSE ROMA-LONDRA

Un’intesa formalizzatasi proprio nella Capitale lo scorso 27 novembre, quando il ministro Gentiloni ha incontrato il collega britannico Philip Hammond, concordando di porre fine all’inazione che negli ultimi due anni ha caratterizzato l’atteggiamento europeo nei confronti della Libia. I due ministri, come ha rilevato l’Agenzia Nova, hanno poi posto il problema al Consiglio atlantico a Bruxelles, dove hanno ottenuto il sostegno degli Stati Uniti.

Sono state Roma e Londra a sollecitare per il 9 dicembre una riunione dei rappresentanti delle diverse forze libiche, con l’obiettivo di coinvolgere le autorità indipendenti locali a vario titolo, e costruire un governo di unità nazionale.

Una scelta che Toaldo ritiene “positiva“. Finora, infatti, la maggioranza degli sforzi diplomatici si era concentrata sul Parlamento. Invece, “le autorità locali hanno un controllo molto più diretto sui territori“.

UN PERCORSO IN SALITA

Un clima positivo, dunque, ma anche la consapevolezza che la strada, tuttavia, non sarà in discesa.

Da una parte ci sono le città controllate dai miliziani filo-islamisti, al comando a Tripoli e Bengasi, politicamente guidati dalla Fratellanza musulmana; dall’altra il governo e il Parlamento – sciolto da una sentenza della Corte suprema – riconosciuti internazionalmente, rifugiatisi a Tobruk, e costretti ad appoggiare le milizie dell’ex comandante di Gheddafi, per non perdere del tutto il controllo del Paese.

Le scorse settimane sono state contraddistinte da una violenza crescente tra le parti, con incursioni aeree, che hanno fatto temere il definitivo avvio di una guerra civile aperta. Gli aerei militari libici, in dotazione all’ex generale Khalifa Haftar – sostenuto dal governo di Abdullah al Thani basato a Tobruk – hanno attaccato le basi della coalizione armata di Alba della Libia nella capitale; mentre a Tobruk, si sono verificate diverse esplosioni. Episodi che hanno spinto Gentiloni a definire la dichiarazione congiunta come “un avvertimento a chi boicottasse il processo di riconciliazione nazionale” in Libia, “che andrebbe incontro a una reazione molto forte da parte dei Paesi“. Un messaggio diretto lanciato alle fazioni libiche, ma anche, secondo alcuni analisti, un suggerimento “cifrato” a chi, come Egitto e Francia, pur condividendo il documento, ha dimostrato sinora di avere una linea più interventista (in particolare Il Cairo, i cui rapporti con Roma si sono intensificati molto, era intervenuto con raid aerei contro la fazione tripolina). Il titolare della Farnesina, ha poi avvertito: “Se le parti invitate ai colloqui non parteciperanno, i sei paesi, l’Ue e l’Onu potranno prendere nuove decisioni per proteggere l’unità della Libia e contro il terrorismo“.

La Libia è ormai un Paese provato, spaccato a metà, e non solo idealmente. Una frattura che non si manifesta soltanto attraverso uno scontro tra “blocchi”, ma anche in una vera e propria moltiplicazione di enti, cariche politiche, istituzioni, di cui è stato testimone il difficile vertice Opec concluso da poco a Vienna. Obiettivo: controllare le risorse economiche del Paese. Ma sulle mosse di entrambe le fazioni incidono non solo divisioni interne, ma anche fortissimi interessi economici e geopolitici. Oltre alla preoccupante crescita dei fermenti jihadisti, con l’orrore dello Stato Islamico, arrivato a Derna.

Occhi puntati, dunque, sugli avvenimenti dei prossimi giorni, quando sarà chiaro se ad essere in maggioranza saranno i “falchi”, che puntano a una secessione de facto del Paese, o le colombe, ansiose di riportare allo stesso tavolo le fazioni che si contendono la Libia.



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