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Perché la responsabilità civile dei magistrati è cosa buona e giusta

Ma una più efficace gestione disciplinare dei magistrati rischia di non essere sufficiente a normalizzare» il loro posizionamento all’interno dell’ordinamento democratico. I magistrati sono a oggi gli unici dipendenti pubblici «irresponsabili», che non rispondono in alcun modo degli errori o degli abusi commessi. Creando uno straordinario paradosso: coloro i quali sono chiamati per primi ad applicare la legge, sono gli unici a esserne esonerati.

La soluzione finale – terribilmente discussa, ma ineludibile – è quella di introdurre nel nostro ordinamento una responsabilità civile diretta per i magistrati. Per convincersi di questa necessità, è necessario cancellare dalle nostre menti una serie di «falsi miti» che finora hanno impedito all’opinione pubblica italiana una corretta valutazione della questione. E le hanno impedito di ribellarsi di fronte all’incredibile non-attuazione della volontà popolare chiaramente espressa con il referendum del 1987.

Solo per la cronaca: in teoria l’esito del referendum fu attuato con l’introduzione della legge Vassalli, che prevede la responsabilità civile diretta dello Stato per gli errori commessi dai magistrati e quella indiretta dei magistrati stessi. Secondo la legge Vassalli, infatti, lo Stato ha la possibilità di rivalersi sul magistrato per un massimo di un terzo dello stipendio annuale. Ma sfido chi legge a partecipare a un quiz. Quanti magistrati sono stati condannati a pagare, in ben 25 anni di applicazione della legge Vassalli? Diecimila forse? No, non esageriamo: mille? O almeno cento? Qualsiasi cifra sarebbe sbagliata. Perché la risposta esatta è nessuno. Zero.

Come in una guerra intellettuale proviamo allora ad abbattere almeno due falsi miti. O meglio due chaff, due nuvole elettroniche create ad arte nei decenni per impedire ai radar dell’opinione pubblica di inquadrare il bersaglio. La prima: nella nostra Costituzione non esiste alcuna norma che – né direttamente, né implicitamente – vieti la responsabilità civile diretta dei magistrati. Al contrario: l’art. 28 della Carta sancisce la responsabilità civile diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato, categoria alla quale i magistrati appartengono a pieno titolo.

Secondo chaff/falso mito è quello secondo cui la responsabilità civile inciderebbe sull’autonomia della magistratura, creando nel giudice un sentimento di insicurezza che lo porterebbe a evitare le decisioni più scomode e pericolose. Ma è come sostenere che il chirurgo dovrebbe essere irresponsabile, perché altrimenti sarebbe portato a rifiutare gli interventi più complessi e delicati per paura di essere sanzionato. Tutti i professionisti pubblici che esercitano professioni delicate – in grado di incidere profondamente con il loro operato sulla salute, sulla sicurezza o sul patrimonio dei cittadini, quindi sul destino delle persone – sono oggi soggetti a responsabilità civile e penale diretta, dal medico al notaio, dall’ispettore del fisco all’ingegnere, dal poliziotto all’avvocato. Solo introducendo una forma di responsabilità civile diretta dei magistrati, in realtà, il «cannibalismo delle Procure» sarà ricondotto entro limiti fisiologici e lo scarso equilibrio dimostrato da alcuni magistrati diventerà un’eccezione. E la politica potrà liberarsi dalle sue catene.


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