Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi e Mf/Milano Finanza
Già lo scorsa settimana (venerdì 5 dicembre u.s. a pag. 6) il nostro Cesare Maffi, analizzando come i grandi quotidiani italiani avevano trattato lo scandalo del malaffare capitolino, aveva constatato che «visto che la retata di Roma è politicamente trasversale, nel senso che riguarda sia personaggi di centrodestra sia di centrosinistra, i giornali sparano solo sulla parte avversa». Nel senso che i giornali orientati al centrosinistra sollevano il polverone contro l’ex Nar Massimo Carminati, mentre gli organi di stampa collocati a centrodestra se la prendono soprattutto con Salvatore Buzzi, l’uomo del Pd e delle Coop rosse. Nel paese dove non ci sono giornali che (almeno) tentano di riferire le cose come esse sono, e non come ci si augura che esse siano, l’opinione pubblica viene, di fatto e sistematicamente, espropriata del diritto di capire che cosa è successo. Ma questa condizione non è senza affetti politici deflagranti. Perché, se l’opinione pubblica non sa contro chi indirizzare la sua indignazione, si finisce per fare ad essa considerare la politica, non come il luogo dove si può anche sbagliare, ma come una irredimibile sentina dove tutti, in combutta, fanno i loro sporchi affari.
L’indagine giudiziaria contro lo scandalo in Campidoglio (perché almeno su questo dovremmo essere d’accordo) riguarda il periodo 2011-2013. Cercare di capire che cos’è successo, analizzando solo questo stralcio temporale, sarebbe come voler giudicare un film, avendone visto solo gli ultimi dieci minuti. Per capire questo film bisogna quindi riavvolgere la moviola e ritornare indietro alla giunta Veltroni. E puntare il riflettore su Salvatore Buzzi, il pivot appunto di Mafia capitale. Costui uccise, con 34 coltellate, il socio in affari Giovanni Gargano per traffico di assegni a vuoto. Dopo aver cercato di incolpare dell’omicidio la sua compagna, un prostituta brasiliana, Buzzi viene condannato a 25 anni di carcere. In carcere però si laurea con 110 e lode. Miriam Mafai grida al miracolo con un articolo su Repubblica. La sinistra romana si intenerisce per questo compagno che aveva sbagliato ma che aveva ritrovato la retta via. Scalfaro gli concede la grazia. Chi è morto giace e chi è vivo si dà pace.
Buzzi (tutto solo, senza la compagnia del Nar Carminati, che verrà molto tempo dopo e capiremo perché) fonda, nel 1985, la Cooperativa rossa 29 giugno (perché Buzzi, nonostante tutto, è devoto, dice, di San Pietro e Paolo). Buzzi, per la sinistra romana, diventa subito una sorta di icona della redenzione auspicata e possibile. A suo sostegno si muove anche la madre di Umberto Marroni (capogruppo Pd nel Comune di Roma), che fu una figura di punta della Resistenza nella capitale e che mette Buzzi sotto le sue ali protettrici. Buzzi (che è poi quello che, in una telefonata con la sua segretaria, dice che «con i rom si fanno più soldi che con la droga») viene adottato anche dal Comune di Roma che gli accorda una serie infinita di lavori senza appalto. Il rapporto senza aste, e quindi, diciamo così, anomalo, con il Comune di Roma che è stato a lungo sempre gestito dal centrosinistra, prosegue, nell’ultimo quindicennio, senza soluzione di continuità. Buzzi passa da un sindaco all’altro con la scioltezza del passaggio del testimone in una staffetta olimpica.
Durante tutto questo tempo, Buzzi non ha mai cercato agganci con il centrodestra perché non gli servivano e, d’altra parte, nessuno poteva ragionevolmente presumere, allora, che alla guida del Campidoglio potesse andare un sindaco di centrodestra. Sarebbe stato contro natura. Il fattaccio, per Buzzi, avvenne quando Alemanno riuscì a diventare primo cittadino di Roma. A quel punto, le cose, per la coop di Buzzi, si misero subito male. Alemanno voleva fare le aste per assegnare i lavori che la coop di Buzzi aveva ottenuto sotto banco fino a quel momento, e, nel frattempo però, il Comune non scuciva un euro. Buzzi che è un uomo di varie e potenti relazioni scatenò allora il Pds, la Cgil, organizzò manifestazioni di piazza e digiuni.
Fu proprio in quei mesi che Buzzi, essendo un «compagno di mondo», cominciò anche a intessere rapporti con il Nar Carminati per coprirsi, appunto, il fianco destro. Cioè per mettere in torta gente più vicina al sindaco Alemanno. E chi, se non Carminati, poteva essere l’interlocutore giusto per consentire a un clamoroso abuso (lavori pubblici senza appalto e quindi concessi fuori legge solo a degli amici perché amici) e che si era sviluppato, sino a quel punto, solo a sinistra, potesse proseguire all’infinito.
Buzzi, pur di continuare a prendere soldi pubblici da utilizzare a suo piacere, essendo un quasi ergastolano redento, non ha guardato certo per il sottile. Anche un ex Nar gli andava bene come socio d’affari. Questa è la storia vera che è nata e si è sviluppata solo dentro il centrosinistra capitolino e che poi, solo negli ultimi anni, ha coinvolto anche il centrodestra per poi, con la giunta Marino, tornare nel suo alveo di centrosinistra come dimostra la delibera del 24 ottobre scorso (pochi giorni fa, si può dire) con la quale la giunta Marino faceva uno sconto di 60 mila euro per l’affitto di un locale del Comune alla coop di Buzzi. Marino è lo stesso che aveva preso 30 mila euro (su una campagna che ufficialmente gli è costata 70 mila) dalla cooperativa di Buzzi. Ma come può sentirsi a posto un sindaco che prende legalmente da una coop (tra l’altro!) un contributo così sostanzioso e poi a questa coop concede dei benefici con i soldi di tutti?
Questa analisi ovviamente non toglie nemmeno un grammo di responsabilità alla giunta Alemanno che, con Buzzi, si è comportata come si erano comportate le giunte di centrosinistra precedenti, dimostrando così che nel Consiglio di Roma non c’è nemmeno una flebile distinzione fra maggioranza e opposizione. Tutti in torta. Adesso, certo, c’è un piccolo stop per poi ricominciare, dato che nessuno propone soluzioni (e ci sono) per cercare di tagliare l’erba sotto i piedi degli abusi. Il primo rimedio? Smagrire drasticamente l’amministrazione comunale, privatizzando tutto il privatizzabile.