Entra in vigore nel sistema penale il delitto di autoriciclaggio sul quale il legislatore accoglie le sollecitazioni dettate dalle Convenzioni pattizie (la Convenzione penale di Strasburgo sulla corruzione e la Convenzione Onu, rispettivamente ratificate in Italia con la legge 28 giugno 2012 n. 110 e con la legge 16 marzo 2006 n. 146) che prevedono l’autoriciclaggio quale ipotesi delittuosa autonoma, anche se la Germania, ad esempio, ne esclude la rilevanza penale e la Francia assegna solo all’interpretazione giurisprudenziale il riconoscimento di questa fattispecie.
FATTISPECIE AUTONOMA
Il legislatore, anziché seguire il percorso più semplice, limitandosi ad eliminare la clausola di riserva, prevista dall’art. 648 bis C.P. che impedisce all’autore del reato presupposto di poter concorrere nel riciclaggio del provente illecito, ha preferito costruire un’ipotesi autonoma disciplinata dall’art. 648 ter 1 del codice penale che regola espressamente l’autoriciclaggio.
La nuova norma punisce colui che dopo aver commesso o concorso a commettere un delitto non colposo impiega, sostituisce o trasferisce denaro beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
FRENO ALL’INTERPRETAZIONE GENERALIZZATA
Il richiamo fatto dalla norma alla necessità che la condotta di autoriciclaggio sia concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro, del bene o delle altre utilità introduce un freno ad una possibile interpretazione generalizzata che potrebbe assegnare rilevanza penale alla semplice modalità di sostituzione, trasferimento o impiego.
Anche se l’autoriciclaggio investe una serie di condotte, allargate a quelle economiche e finanziarie, che non erano previste nell’elaborato della Commissione Fiandaca che limitava l’autoriciclaggio alle sole attività imprenditoriali e speculative, il richiamo all’idoneità della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa dei denari, dei beni o delle altre utilità, sta a significare che il semplice versamento del profitto del reato presupposto non possa integrare il delitto di autoriciclaggio, perché la condotta si rivela inidonea ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro.
I REATI TRIBUTARI
Le difficoltà maggiori a livello interpretativo del nuovo reato di autoriciclaggio riguarderanno, soprattutto, il tema dei reati tributari. Mentre nel vigore della L. 516/82, la cosidetta manette agli evasori, il reato tributario consisteva nella mancata annotazione o fatturazione dei ricavi da parte del contribuente, ed era quindi facile individuarne il profitto, la nuova legge penale tributaria, introdotta nel 2000, fa coincidere, soprattutto per i reati tributari più significativi commessi con il mezzo della dichiarazione (frode fiscale, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione), il profitto del reato tributario con l’imposta evasa, ossia con il risparmio fiscale. In questi casi – come sottolineano gli esperti della materia – non c’è un arricchimento patrimoniale che consente d’individuare il profitto, ma un mancato impoverimento, conseguente all’evasione d’imposta che determina il risparmio fiscale.
E’ vero che il risparmio fiscale può rientrare nel concetto di altre utilità cui fa riferimento la norma che ricomprende nei proventi oggetto dell’autoriciclaggio oltre il denaro ed i beni, anche le altre utilità, ma risulta estremamente difficile individuare ed isolare nel patrimonio dell’autore del reato tributario il provento rappresentato dal risparmio fiscale. In primo luogo perché tra la condotta che integra il reato tributario, ad esempio la dichiarazione infedele, consistente nella mancata annotazione nelle scritture contabili obbligatorie dei ricavi percepiti e la consumazione dello stesso che si perfeziona con la presentazione della dichiarazione, intercorre un notevole lasso di tempo, per cui fino a quando non verrà presentata la dichiarazione infedele o fraudolenta non potrà parlarsi di impiego, sostituzione o trasferimento.
Ma soprattutto, consistendo il profitto del reato, non già nell’omessa annotazione di corrispettivi, cioè nella mancata dichiarazione delle somme incassate, ma nell’imposta evasa cioè nel risparmio fiscale, la determinazione dell’imposta evasa è un processo che può prestarsi, come spesso accade, alla più arbitraria interpretazione da parte degli organi accertatori, che poi sono quelli che trasmettono all’autorità giudiziaria la notizia di reato.
AUTORICICLAGGIO E INDAGINI
Ed è sulla base di una notizia di reato, frutto di soluzioni rimesse a criteri presuntivi che dominano la materia tributaria e che si rivelano spesso contraddittori ed arbitrari, che si fonda il reato tributario presupposto il cui profitto potrà essere oggetto di autoriciclaggio da parte dell’autore del reato presupposto.
In questi casi e cioè in presenza di reati tributari si potrà iniziare un’indagine per autoriciclaggio solo ove sia intervenuta una risposta seria, frutto di un’indagine adeguata e non di un semplice accertamento tributario, che può costituire la notizia di reato, sull’entità dell’imposta evasa che rappresenta uno degli elementi costitutivi del reato di frode fiscale mediante artifizi, o di dichiarazione infedele.
Sarà forse necessaria una sorta di pregiudiziale tributaria che accerti correttamente l’entità dell’imposta evasa, prima di procedere per autoriciclaggio del profitto derivante dal reato tributario.
Non saranno pochi i problemi che l’introduzione del reato di autoriclaggio potrà sollevare, ma quello dell’autoriciclaggio del provento dei reati tributari verrà ad assumere un ruolo centrale.