Dal San Marco a Rosetta, mezzo secolo del nostro Paese nello spazio. Quali sono gli ingredienti del successo italiano, ieri e oggi?
Se parliamo oggi di spazio in Italia, parliamo di un settore certamente di nicchia ma anche di un settore ad elevatissimo contenuto di conoscenza e con una enorme capacità di generare innovazione, e ancora, di expertise specializzate, di un’occupazione ricca e capace di rispondere alle forti esigenze di sviluppo industriale e tecnologico italiano. Il comparto spaziale a livello nazionale vede la presenza anche di istituzioni, centri di ricerca scientifica, Università, industrie manifatturiere, Pmi e aziende di servizi. La storia e il successo di molti programmi, di ieri e oggi, sono la dimostrazione delle grandi capacità di questi diversi attori di fare-sistema attraverso una collaborazione sinergica che ci porterà, ne sono certo, a vincere anche le sfide del futuro. Vorrei con orgoglio evidenziare che Thales Alenia Space Italia oggi rappresenta la sintesi della storia dell’industria spaziale del Paese, dalla quale abbiamo ereditato il patrimonio di competenze che abbiamo poi saputo mettere a frutto e far evolvere ulteriormente. È sulla base di queste considerazioni e dei risultati raggiunti con la presenza delle nostre tecnologie e delle nostre competenze di sistema in alcune centinaia di missioni spaziali che rivendichiamo il nostro ruolo centrale nel mantenimento del Paese tra i protagonisti del settore.
Come valuta la ministeriale Esa da poco conclusa?
Abbiamo salutato con soddisfazione il fatto che, dopo alcuni anni, il governo abbia capito l’importanza di investire nello spazio. Questo è positivo, perché le attività spaziali richiedono una pianificazione certa sul medio-lungo periodo. Come azienda, siamo poi soddisfatti che siano state prese due decisioni che impattano direttamente sulla nostra attività: la prosecuzione della Stazione spaziale internazionale fino al 2017, con una proiezione fino al 2020, e che siano state trovate le risorse necessarie alla seconda missione del programma ExoMars di cui siamo prime contractor. Al di là della ministeriale, che ha ad oggetto programmi europei, lamentiamo ancora il fatto che, fino ad oggi, la legge di stabilità non preveda risorse aggiuntive per progetti nazionali. Un progetto importante e strategico per il Paese, come Cosmo-SkyMed seconda generazione, non ha le risorse necessarie per proseguire come pianificato dal contratto stipulato con l’Asi nel 2011. In ogni caso stiamo lavorando per far capire al governo che, con un piccolo sforzo, si potrebbe mettere un segno positivo anche sui programmi nazionali. Se le cose non cambieranno, avremo delle criticità.
Quali sono i principali programmi che vi vedranno coinvolti?
Lavoriamo su diversi assi. Se parliamo di programmi scientifici siamo impegnati da poco, in qualità di prime, su Euclid, programma Esa che ha l’obiettivo di scoprire la materia oscura dell’universo. Passando all’osservazione della Terra, dove siamo leader mondiali in quella radar (la parte francese ha competenze specifiche sull’ottico, ndr), stiamo costruendo negli stabilimenti di Roma la seconda Sentinella, mentre per le telecomunicazioni, settore che ci vede specializzati nelle comunicazioni sicure, a marzo 2015 lanceremo Sicral 2, satellite italiano, con a bordo un payload francese, che andrà ad affiancarsi a Sicral 1 (satellite francese, ndr). Infine, come Tas Italia, nel 2015 vogliamo partecipare alla gara indetta per il 3° lotto di satelliti di Galileo. Non sappiamo ancora se si tratterà di 6 o 8 satelliti, ma vogliamo rientrare in questo programma, perché abbiamo le competenze. (I satelliti del secondo lotto sono stati prodotti dalla tedesca Ohb, che nel 2014 si è aggiudicata la gara su base competitiva, ndr).
Possiamo aspettarci cambiamenti nell’assetto societario di Thales Alenia Space?
Non importa come gli utili siano distribuiti, l’importante è che le competenze italiane all’interno della joint venture (67% Thales, 33% Finmeccanica) vengano valorizzate per ciò che sono: competenze di prim’ordine, che nel gioco della definizione delle strategie non devono andare disperse.
Da cosa dipende il bilanciamento dell’attività nell’ambito della joint venture?
Dai due azionisti e da quanto i rispettivi governi nazionali supportano l’attività spaziale. Non c’è potenza spaziale al mondo, senza che a monte ci sia uno zoccolo di investimenti istituzionali. Se si vuole mantenere lo stato dell’arte serve l’intervento del governo, che di solito avviene attraverso la realizzazione di oggetti tecnologicamente avanzati, che possono essere venduti in tutto il mondo. In questo settore gli investimenti si sviluppano nell’arco di anni, per questo serve una programmazione certa. Il problema non è la governance, quanto avere una combinazione di fattori in grado di valorizzare le competenze italiane, seconde a nessuno sulla parte manifatturiera che copriamo.
Qual è la strategia del gruppo all’estero?
Innanzitutto aumentare il footprint europeo. Rispetto a nove anni fa, quando eravamo in Italia, Francia, Spagna e Belgio, siamo cresciuti. Negli ultimi due anni abbiamo incrementato la presenza in Belgio, aperto una filiale in Germania e da ultimo nel Regno Unito. Questo perché dobbiamo essere là dove i governi stanziano partite economiche rilevanti per lo spazio. L’impegno dell’Asi per il 2015 è di 509 milioni di euro, mentre quello delle agenzie francese e tedesca è 4-5 volte tanto e l’Inghilterra sta investendo massicciamente, specie nelle telecomunicazioni. La strategia è quella di intercettare il maggior numero di opportunità e questo vale anche oltre l’Europa. Siamo a Singapore, dove si sta investendo su sicurezza e difesa e in Brasile, dove il governo ha deciso di creare una propria industria spaziale. Al Brasile forniremo un satellite, unitamente ad una serie di tecnologie che oggi non hanno. Il meccanismo è cambiato. I Paesi in via di sviluppo non vogliono solo oggetti, ma anche formazione e addestramento. Per stare sempre un passo avanti c’è un unico modo: investire in ricerca e sviluppo.