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Tutte le particolarità (e le anomalie) del caso Sony Hack

L’attacco subito in questi giorni dalla Sony Pictures potrebbe costituire un interessante caso di studio per la manualistica degli “affari cyber”. Di fatto, per la prima volta, un attacco informatico è riuscito, almeno inizialmente, nel duplice intento di sottrarre informazioni e di piegare la volontà dell’avversario al volere dell’attaccante. Ora Sony ha annunciato che il film “The Interview” uscirà comunque il giorno di Natale, almeno in alcune sale, ma il clamore attorno alla vicenda rimane.

Fino ad oggi eravamo stati abituati alle “scaramucce” di autori e mandanti degli attacchi informatici che venivano perlopiù indicati attraverso una serie di indagini a ritroso e, nella maggior parte dei casi, erano protetti dall’anonimato.

Ma ora l’accusa diretta alla Corea del Nord da parte dell’FBI ha innescato una crisi diplomatica che non è stata ancora del tutto placata.

Le reazioni sono simili a quelle del 2011 quando l’attacco informatico sponsorizzato dal governo cinese ai danni degli utenti di gmail provocò lo scontro tra Google e Cina che coinvolse anche il Dipartimento di Stato americano,  costringendo così la signora Clinton ad intervenire in difesa del provider statunitense.

Obama plaude alla scelta di fare marcia indietro e far uscire il film. Secondo il Financial Times, la scelta della Sony Pictures di sospendere la proiezione del film avrebbe rappresentato un precedente di legittimazione per il cyber crime con il rischio di scatenare un’ondata di attacchi copione. Infatti, “il ritiro del film, accompagnato alle minacce di attacchi terrorisitici da parte di gruppi di hacker, potrebbe ispirare altri criminali e mettere a rischio altre società a Hollywood e non solo”. Per Stuart McClure, fondatore e amministratore delegato di Cylance, una società dedita alla sicurezza informatica, la decisione della major avrebbe significato la “resa al terrorismo”.

Lo stesso Adam Segal, dalle pagine del Council on Foreign Relations, analizzando l’evento sotto la lente degli studi strategici, spiega che la decisione della Sony Pictures Entertainment, in un confronto serrato sullo spionaggio informatico, avrebbe rappresentato una vera e propria sconfitta per gli USA.

In quest’ottica, vanno interpretate le prime dichiarazioni dirette di Obama. La reazione della Casa Bianca sottolineava come la collaborazione in chiave preventiva tra pubblico e privato, pur essendo un caposaldo nell’ambiente cyber, avrebbe potuto venir meno proprio negli Stati Uniti, paese par excellence nella cyber security. 

Tuttavia, paragonare il caso del “Sony Leak” a una guerra cyber, dove non ci sono stati né danneggiamenti fisici contro infrastrutture critiche né tantomeno sono stati colpiti target classificati come obiettivi di “interesse nazionale” non solo è fuorviante, ma rischia di creare un’escalation ingiustificata.


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