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Vi spiego perché il Jobs Act non è applicabile ai dipendenti statali

Sulla questione dell’applicabilità al pubblico delle nuove regole del recesso individuale ai nuovi assunti (come previste nello schema di decreto delegato attuativo) la tesi del governo è corretta, ma viene spiegata nella maniera sbagliata.

Sembrerebbe, infatti, che l’esecutivo intenda soltanto difendere l’inamovibilità dei pubblici dipendenti e che lo faccia con argomenti privi di qualsiasi consistenza, come se l’assunzione tramite concorso comportasse un divieto assoluto di licenziamento o non si dovesse fare un torto a Marianna Madia.

Pur riconoscendo che, per maggiore chiarezza, nel testo dovrebbe essere aggiunta una norma che stabilisca esplicitamente l’esclusione (come nella legge Fornero), la disciplina introdotta dal Jobs act non è meccanicamente applicabile al pubblico impiego per almeno due motivi.

In primo luogo perché nella pubblica amministrazione non è contemplato quel licenziamento individuale per motivi economici che è tanta parte del nuovo provvedimento. E’ prevista una procedura specifica di messa in mobilità del personale in esubero la quale svolge, mutatis mutandis, la funzione attribuita, nei settori privati, alla cassa integrazione e all’Aspi.

Se poi, nei fatti, a tale procedura non si fa ricorso, il problema non si risolve estendendo alla pubblica amministrazione delle regole ad essa inapplicabili. Quanto, poi, ai licenziamenti disciplinari, nel dlgs n.165 del 2001 – una legge fondamentale per il pubblico impiego –  sono sancite disposizioni specifiche che disciplinano la materia, recanti l’elencazione delle fattispecie che danno luogo a quella sanzione.

Se si ritiene necessaria una maggiore omogeneità tra il comparto pubblico e quello privato occorrerebbero quanto meno delle norme di coordinamento, rispettose comunque delle differenze.

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Ancor più stupida che demagogica (anche perché nessuno ha mai messo in dubbio la ratio della esclusione) è la norma che estende la nuova disciplina del licenziamento alle c.d. organizzazioni di tendenza (ovvero ai partiti e sindacati, ecc.). Il fatto più grave è che ad esse siano estese, per quanto riguarda i nuovi assunti, anche le regole sul licenziamento discriminatorio, perché era proprio questa la forma principale di recesso considerata non sanzionabile dalla dottrina e dalla giurisprudenza, prima ancora che dalla legge. Vuol dire che le parrocchie dovranno tenersi un sagrestano convertito all’Islam o che il Pd non potrà licenziare un dipendente che si iscrive a Forza Nuova. Questi potranno essere licenziati solo se assunti prima dell’entrata in vigore della nuova legge.

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Ha ragione Augusto Minzolini. Il miglior candidato per il Quirinale sarebbe Romano Prodi. E’ sicuramente un europeista convinto, è autorevole sul piano internazionale, non è un ex magistrato e non appartiene alla ‘’banda’’ dei giustizialisti militanti. E soprattutto, sarebbe autonomo nei confronti del ‘’ducetto’’ fiorentino. Tanto un presidente della Repubblica disposto a graziare Silvio Berlusconi non solo non esiste sulla piazza, ma deve ancora nascere.



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