Le dichiarazioni di Tsipras e le richieste all’Europa di Syriza nel caso divenisse partito di maggioranza in Grecia, riprese oggi dal Corriere, trovano il loro fondamento etico nell’ultima frase del loro leader: “La Grecia è la patria di Sofocle, il quale ci ha insegnato, con Antigone, che talvolta la suprema legge è la giustizia”. Non la legge fallimentare, né quella amministrativa, no: la giustizia.
Il riferimento ad Antigone aiuta a sufficienza ad inquadrare questa nuova tragedia greca, quella di questi anni, vissuta nell’apparente inconciliabile contraddizione tra leggi umane (il riferimento ovvio è ai Trattati e regolamenti europei) e leggi divine. Ma quali sono le leggi divine odierne a cui si riferisce Tsipras richiamando il concetto di “giustizia”? Qual è il concetto di giustizia rilevante per comprendere questa tragedia, le sue implicazioni e la sua potenziale risoluzione?
Sarebbe utile forse farlo risalire, in un’ottica cristiana alle parole di Papa Francesco, ad un senso di giustizia incondizionata: “La misura della grandezza di una società si trova nel modo in cui questa tratta i più bisognosi”, così affermò di recente il Pontefice. Se la società d’interesse è quella “europea”, allora non c’è dubbio che tutti i dati ci dicono che oggi è la Grecia l’anello debole della costruzione continentale. Debole, attenzione, non per la sua fragilità finanziaria ma per l’emergenza economica che deve fronteggiare da tempo una fascia non esigua della popolazione: in tal senso non credo sia sfuggita a molti l’espressione usata da Tsipras nel testo – “porre fine alla crisi umanitaria” – giro di parole che in Italia ed in Germania nemmeno un politico populista si sentirebbe in diritto di utilizzare in alcun caso per descrivere i nostri problemi interni, ma che in Grecia è ormai entrata credibilmente nel lessico politico.
Non c’è bisogno tuttavia di scomodare la religione per comprendere un concetto di giustizia basilare, come quello menzionato dal Papa; basterà ricordare il pensiero del filosofo Rawls che riteneva giusta quella società che mira a migliorare prima di tutto le posizioni relative dei gruppi più svantaggiati.
E’ un’argomentazione, quella della giustizia senza se e senza ma per gli svantaggiati, difficile da far passare in Germania, dove si tende a richiedere ai greci sforzi per pagare la colpa originaria di cui si sono macchiati mal contabilizzando dentro i loro conti pubblici svariate transazioni, finanziarie e non, e così facendo esplodere la questione della sostenibilità del loro debito. A poco varrebbe con i tedeschi argomentare che i loro leader erano al corrente (al momento della loro ideazione) di queste transazioni e che alcune di queste transazioni improprie erano state strutturate con imprese (i sommergibili) o banche (i derivati) tedesche.
Un concetto di (in)giustizia più intuitivo anche per i tedeschi potrebbe riguardare quello che caratterizza gli sforzi fatti dai greci in questi anni per riparare alle “loro colpe” (?) tramite l’austerità, le riforme ed il ripagamento del debito alle condizioni previste dagli accordi con la Troika. In questo caso il concetto più appropriato di giustizia non è ex-ante, ma diventa ex-post: ovverosia quello che tiene conto del fatto che, successivamente alla formalizzazione di accordi i cui termini si basavano sulla esistenza nel tempo a venire di un certo scenario di contesto, il contesto si è modificato a tal punto da rendere ingiusto richiedere ad una delle controparti il rispetto di quanto previsto dall’accordo originario. Tema d’altronde previsto nel memorandum del Fondo Monetario Internazionale del 2013 sul quarto riesame della situazione greca, dove al punto 55 ci si preoccupa del fatto che la Grecia rimaneva esposta ad incidenti di percorso (“accident-prone”) per un periodo comunque lungo e che a fronte di tali incidenti l’Europa avrebbe dovuto garantire maggiori aiuti per non far perdere al Paese la capacità di sostenere le dure riforme a cui andava incontro.
Due incidenti significativi ed imprevisti sono avvenuti in questi anni che val la pena menzionare: 1) la deflazione è stata decisamente maggiore di quanto previsto al momento della sottoscrizione dei prestiti e dunque i tassi reali pagabili dal governo greco stanno arricchendo in maniera imprevista (in termini di giustizia distributiva dovremmo dire “più del dovuto”) le istituzioni che hanno prestato alla Grecia; e 2) le riforme effettuate dalla Grecia assieme all’austerità non hanno generato quella ripresa che era stata “garantita” dai creditori al momento dell’erogazione dei prestiti.
Questi due imprevisti spingono Tsipras a sentirsi nel giusto nel richiedere una ristrutturazione del debito. Particolarmente felice (e giusta!) sembra la scelta di proporre in tal senso non tanto un default, quanto una ristrutturazione del debito volta a modificare il profilo delle cedola da rimborsare ai creditori da tasso fisso ad un tasso variabile legato all’andamento dell’economia greca. “Siccome voi “non greci” ci dite che se facciamo le riforme la crescita tornerà, e siamo – dopo ben 5 anni di fallimenti delle ricette della Troika – stufi (“giustamente!”, dico io) di credervi, facciamo una bella cosa: i nostri titoli di debito, oggi a reddito fisso come i vostri BTP, i cui pagamenti entrano nelle casse dei vostri Stati e non dei mercati (perché il debito greco è tutto detenuto dai governi, e dunque da noi contribuenti europei, e non più dai mercati, NdR), li ristrutturiamo e li condizioniamo all’andamento del nostro PIL”.
Mossa giusta direi. Perché se le cose andranno da ora in poi bene con le riforme, come dicono da sempre gli europei, i greci ripagheranno il loro debito in toto. Se le cose continueranno invece a non andar bene malgrado le riforme, confermando l’errore nei suggerimenti della Troika, non lo ripagheranno così riuscendo perlomeno a sopravvivere, non morendo di austerità e finanziando la domanda interna (ormai sparita) con meno tasse e più investimenti pubblici, grazie alla minore spesa per interessi.
Quando Tsipras afferma che “non vogliamo il crollo, ma la salvezza dell’euro”, finisco per credergli, perché non può esistere Europa senza un ideale di giustizia che travalichi i Trattati, come quello di Maastricht, e gli accordi, come quello del Fiscal Compact, se questi travalicano il senso della Giustizia. La contraddizione insanabile che condannò Antigone è evitabile, basta volerlo.