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Vi racconto lo choc francese di Charlie Hebdo. Parla Jean Pierre Darnis (Iai)

L’eccidio perpetrato a Parigi nei confronti della redazione del settimanale Charlie Hebdo rappresenta un’aggressione contro la libertà di pensiero, parola e satira che caratterizza le democrazie politiche. Ma presenta risvolti geo-politici che richiedono una risposta adeguata da parte dei governi occidentali.

Per capire quale possa essere la più efficace e lungimirante anche nei confronti di un fanatismo islamico in piena offensiva, Formiche.net ha sentito Jean Pierre Darnis, analista, esperto di cose francesi e vicedirettore del Programma Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari internazionali.

Qual è il ruolo della rivista satirica Charlie Hebdo in Francia?

È una testata che si inserisce nella tradizione storica di sinistra libertaria e anarchica. Ricollegata alla vicenda della Comune di Parigi di fine Ottocento, è estremamente irriverente e provocatoria verso il potere in tutti i sensi e verso le religioni. E per tale ragione si distingue dall’altro settimanale satirico d’Oltralpe, Le Canard enchaîné, più orientato a mettere a nudo i difetti del ceto politico.

Le vignette al vetriolo di Charlie Hebdo coinvolgono peraltro tutte le religioni monoteiste.

Esattamente. E lo fanno con un umorismo abbastanza insopportabile in Italia o in altri paesi meno abituati alla satira più violenta e velenosa. La rivista incarna una visione minoritaria in Francia, ma ognuno la ritiene patrimonio culturale irrinunciabile.

Come ha reagito all’attentato il mondo culturale d’Oltralpe?

Anche se a molti Charlie Hebdo non piace, tutti tengono alla libertà di espressione e di disegni satirici. Ma l’intellighenzia francese lo ritiene un attacco più specifico verso la rivista, a causa delle vignette pubblicate in passato nei confronti di Maometto. Molti poi si stanno identificando con i disegnatori uccisi.

E la politica?

Prevale finora il richiamo all’unità nazionale. Ma la simbologia dell’attentato e le problematiche legate al pericolo dell’Isis avranno riflessi nella società francese. E al centro delle polemiche finiranno le interpretazioni diffuse della religione musulmana che criticano il modello di vita occidentale.

L’eccidio perpetrato alla sede di Charlie Hebdo rappresenta l’espressione del totalitarismo del terzo millennio?

Andrei con i piedi di piombo nell’utilizzare tali espressioni. Per ora ci troviamo di fronte a individui che hanno assassinato dodici persone. Assocerei il crimine perpetrato a Parigi agli attentati compiuti nel 2012 a Tolosa fuori una scuola ebraica. Attenti dunque a generalizzare il caso per farne una lettura globale.

Come reagire a una simile manifestazione del fanatismo islamico?

Consiglio cautela nel leggere simbolicamente la vicenda. Specialmente se vogliamo tenere alta bandiera dello Stato di diritto e l’idea europea di democrazie e giustizia. Atteniamoci comunque all’ipotesi, non confermata finora dall’inchiesta, che gli autori del crimine siano fanatici islamici. La priorità è difendere la libertà di pensiero con fermezza, affermando la vitalità e il futuro dei giornali satirici.

Gli attentatori parlavano in francese e inneggiavano ad Allah.

Se associamo tutto ciò al fenomeno dei jihadisti europei che in nome di un’ideologica estremista islamica vanno in Siria o in Iraq a combattere la “guerra santa” con i fautori del Califfato, vi è un lavoro di analisi e mediazione culturale-religiosa da compiere. L’attività di sicurezza e lotta al terrorismo esiste in Occidente e in Europa da 30-40 anni e si è rafforzata dopo l’11 settembre 2001, grazie allo sviluppo di apparati di polizia e intelligence. Ma bisogna essere attenti a salvaguardare libertà individuale e privacy da interferenze illegittime.

Nei confronti dello Stato islamico la comunità internazionale e i paesi occidentali non hanno mostrato una reazione militare così forte e capillare.

Nel terreno geo-politico il ripiego nazionalistico non ci permetterà di fronteggiare i fenomeni integralisti in Nord Africa e Medio Oriente. La strada da privilegiare è aiutare paesi cruciali nella strada della democrazia e dell’integrazione internazionale. Penso alla Tunisia che ha una frontiera comune con la polveriera Libia, al Marocco, all’Egitto, alla Turchia candidata all’adesione all’Unione Europea e a cui stiamo sbattendo la porta in faccia. È necessario farlo, per realismo, con le persone seriamente impegnate in tale processo dando loro credito economico e politico.

Nell’offensiva contro il fanatismo terrorista i paesi occidentali devono recuperare un rapporto organico con la Russia di Vladimir Putin?

Spetta a Mosca ricostruire un’alleanza con noi anziché credere a un fantomatico complotto occidentale nei suoi confronti. L’Europa, con il proprio soft power, ha sempre spinto per un partenariato con la Russia. Ma non possiamo tendere mano per poi farcela pestare.

La strage compiuta a Parigi segna il fallimento del modello multi-culturale, relativista e politically correct di coesistenza con le comunità musulmane?

È facile e ingenuo scagliare la pietra verso esperienze di convivenza. Peraltro la Francia ha realizzato un modello ultra-laico rifiutando il multiculturalismo comunitario di tipo britannico. Forse la République non ha prestato attenzione al fatto religioso, confinandolo nella sfera individuale. Mentre per le comunità musulmane sempre più numerose tale dimensione ha una valenza politica che va tenuta in conto. Ritengo che la Chiesa cattolica e Papa Francesco possano offrire un prezioso contributo in tal senso.


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