Un’offensiva politica, ideologica, religiosa. L’espressione del totalitarismo del terzo millennio. La strage compiuta a Parigi nella sede della rivista satirica Charlie Hebdo pone mille interrogativi su un fanatismo islamico cui le democrazia politiche sono chiamate a reagire superando ipocrisie e arrendevolezza.
Le ragioni dell’indagine
Tuttavia l’eccidio perpetrato nella capitale francese presenta risvolti geo-politici legati alla novità delle sue dinamiche e modalità rispetto a crimini analoghi realizzati in Europa.
L’intellighenzia d’Oltralpe lo ritiene un attacco specifico verso una testata responsabile agli occhi degli attentatori della pubblicazione di vignette su Maometto. L’intelligence cerca di fare luce sulle affiliazioni degli autori della strage.
È per la ricchezza delle implicazioni sollevate dalla vicenda che l’Istituto per gli Studi di politica internazionale ha elaborato il focus “Dopo Charlie Hebdo, la minaccia jihadista in Europa”, in cui analisti ed esperti mettono a fuoco il brodo di coltura dei terroristi, le ramificazioni europee, gli addestramenti esteri e le propaggini italiane.
L’identikit dei killer
Le persone individuate come responsabili dell’attentato – i franco-algerini Said e Cherif Kouachi – avrebbero combattuto con i miliziani integralisti in Siria per ritornare in patria l’estate scorsa.
Ma secondo il ministro della giustizia di Parigi citato dalla Cnn, uno dei due fratelli avrebbe fatto tappa in Yemen nel 2005 e in Iraq nel 2008. A quanto riportano gli organi di informazione Usa, l’uomo avrebbe ricevuto nel paese del Golfo Persico un addestramento da parte dell’Aqap, il ramo di Al-Qaida nella penisola arabica.
Il più giovane invece era stato arrestato nel 2008 e condannato a 3 anni di prigione come componente di un gruppo che inviava combattenti estremisti in Iraq. Realtà che per ammissione di taluni aderenti “aveva fomentato progetti di attentato” pur senza metterli in atto.
Jihadismo made in Europe?
Il fenomeno dei “guerriglieri stranieri” che abbracciano la “guerra santa” dei fanatici musulmani e fautori del Califfato in Medio Oriente non è limitato a pochi “cani sciolti” e “individui border line”.
Si tratta di un esercito di almeno 4mila persone per il 15 per cento donne, di cui 2mila provenienti da l Regno Unito e un migliaio dalla Francia. Molti dei “foreign fighter” non provengono più dalle periferie e non hanno origini straniere. Il reclutamento più che nelle moschee e nei centri islamici avviene spesso tramite canali individuali e via web.
I foreign fighter italiani
Nel nostro paese, scrive Lorenzo Vidino – visiting fellow dell’Ispi, Senior Policy advisor presso la European Foundation for Democracy e autore del libro “Il jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione” – l’evoluzione del fenomeno è alquanto differente dalla maggior parte delle nazioni dell’Europa occidentale. “Il panorama risulta frammentario ed eterogeneo. La maggior parte dei nuovi combattenti vive al Nord, in grandi città quali Milano, Genova e Bologna. Molti di loro non sono coinvolti in attività violente, e limitano la militanza a un’attività intensa in Rete”.
A giudizio dello studioso, intervistato anche da Avvenire, la spinta al reclutamento non risiede nella mancata integrazione nel tessuto civile bensì in una “catena umana” fra chi è attratto dalla guerra in Iraq e in Siria. “L’elemento nuovo è che non tutti scelgono di partire. Per molti il jihad si combatte entro i confini europei. E sono loro a trasformarsi in attentatori potenziali o dormienti destinati a creare terrore nella vita di tutti i giorni”.
Lupi solitari o commando organizzato?
Le caratteristiche dell’attentato e il livello di organizzazione, spiega Marco Lombardi – Scientific Advisor dell’Ispi e professore di Management di situazioni di crisi all’Università Cattolica di Milano – prefigurano la responsabilità di “un piccolo commando relativamente indipendente, esperto nell’uso delle armi, attivabile da una regia e capace di agire e pianificare”.
Un ibrido tra “lupo solitario” e “cellula”, che esalta la flessibilità di entrambe le organizzazioni. Si tratta degli “zombie” del jihad: piccoli gruppi addestrati nei campi di guerra siriani, abili a combattere praticamente e psicologicamente, silenti fino a quando un segnale non innesca la loro entrata in azione. “Persone adatte a creare la saldatura dell’internazionale del terrore in tutto l’anello mediterraneo, dal Marocco al Medio Oriente”.
Riflessione condivisa da Eugenio Dacrema – ricercatore in Storia delle relazioni economiche tra Unione Europea e Nord Africa dell’Università di Trento – che su The Times of Israel scorge un parallelismo tra l’assalto alla sede di Charlie Hebdo e le modalità dell’attentato a Monaco del 1972.
Isis o al-Qaeda?
Ma quale organizzazione terroristica ha fornito l’addestramento necessario ai responsabili dell’eccidio di Parigi?
Rispetto allo Stato islamico, l’analista del Financial Times Sam Jones ritiene probabile un collegamento con la galassia di Al-Qaeda o con i suoi fiancheggiatori siriani di Jabhat Al-Nusra.
La strage, rilevano sul New York Times Rukmini Callimachi e Alison Smale, ha mostrato un grado di premeditazione e precisione che manca nelle azioni rivendicate dai fautori del Califfato.
Una rivalità nella galassia integralista sunnita
Lo scontro tra le due formazioni leader del fanatismo musulmano sunnita è stato approfondito dal ricercatore per i Programmi nel Mediterraneo e Medio Oriente dell’Ispi Andrea Plebani.
Nell’e-book “New (and old) patterns of jihadism: al-Qa’ida, the Islamic State and beyond”, lo studioso scrive che 13 anni dopo l’11 Settembre Al-Qaeda può contare su un numero enorme di centrali locali. A riprova di un’influenza tuttora rilevante nella costellazione jihadista.
“Ma negli ultimi due anni tale egemonia nell’universo integralista è stata minacciata dall’ascesa di fazioni che, pur avendo punti in comune con la realtà fondata da Osama bin Laden, hanno sviluppato visioni politiche nuove e competitive. A partire dai miliziani del Califfato”.
Il riproporsi feroce di uno scisma antico
Capace, rimarca il saggista Carlo Panella, di riscuotere un consenso di massa nel mondo arabo: “Perché incarna uno scisma religioso e politico-sociale dell’Islam risalente al 18° secolo. Un’utopia salvifica e rozza, un nuovo totalitarismo rivoluzionario che attrae anche giovani europei. E nel quale sgozzare gli infedeli costituisce un rito ancestrale”.
Il rischio attentati in Italia e in Europa
Lo scenario che in queste ore sta sconvolgendo la Francia può ripetersi negli altri paesi europei? E l’Italia corre rischi simili?
Ricordando nel programma di RadioUno Zapping come il terrorismo fondamentalista colpisca un mondo musulmano in crisi di identità e individuando affinità tra l’assalto a Charlie Hebdo e le azioni armate dei guerriglieri palestinesi negli anni Settanta, il responsabile Osservatorio terrorismo dell’Ispi Arturo Varvelli precisa che per il nostro paese il quadro è molto diverso.
“Ciò è dovuto alla più ridotta presenza di foreign fighter e al minore coinvolgimento di Roma nelle missioni militari in Medio Oriente e Africa. Al contrario il governo di Parigi ha giocato un ruolo centrale negli interventi in Libia, Repubblica Centro-africana, Mali. E partecipa a pieno regime alle operazioni aeree in Iraq e Siria”.
Realtà europee più esposte al pericolo attentati – aggiunge la giornalista della Cnn Laura Smith-Spark – sono la Gran Bretagna, da cui proviene un gran numero di combattenti della jihad in Siria e Iraq, la Norvegia e la Danimarca. “Paesi, questi ultimi, che potrebbero rivelarsi obiettivi sensibili per via delle vignette su Maometto pubblicate nel 2005 e giudicate blasfeme dai fanatici musulmani”.