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Vi spiego perché la Turchia non accetterà mai uno Stato curdo

La resistenza contro l’ISIS a Kobane ha fatto riscoprire la questione curda alla comunità internazionale. La città è geograficamente, storicamente e strategicamente insignificante. E’ però divenuta un simbolo. Gioca un ruolo importante per l’identità dei curdi, nazione senza Stato, divisa non solo in quattro paesi, ma anche, all’interno di ciascuno, da rivalità politiche, claniche e tribali. Un’analisi geopolitica della situazione curda è necessaria per non lasciarsi trascinare da irrealistici entusiasmi e aspettative e per comprendere una realtà molto complessa.

IL RUOLO DELLA TURCHIA

Tale analisi è indispensabile anche per capire i dilemmi che deve affrontare la Turchia in merito alla questione curda, sia al suo interno sia nei Paesi confinanti. Ankara persegue due obiettivi diversi: da un lato, ha interesse che l’ISIS, e anche gli insorti sunniti in Siria, indeboliscano i curdi, specie il loro partito dominante, l’PYD (Unione Democratica del Popolo) ,sempre stato fortemente anti-turco; dall’altro lato, vogliono trovare un accordo con il partito curdo (HDP), presente nel Parlamento di Ankara, per averne l’appoggio per le annunciate riforme costituzionali, volte a rafforzare i poteri di Erdogan. Per rendere possibile un’intesa, il presidente turco deve però raggiungere un accordo definitivo con il PKK, perché cessi la lotta armata, che ha finora provocato in Turchia oltre 40.000 vittime.
In larga parte, i curdi siriani sono discendenti degli esuli fuggiti dalla Turchia per sottrarsi alle repressioni di Kemal Ataturk. Il PYD è una filiazione del PKK. All’inizio, fu un’organizzazione segreta, funzionale alla presenza in Siria del PKK. Poi, fu sostenuto dal presidente siriano Hafez al-Assad, anche per ritardare la costruzione della diga Ataturk che avrebbe privato la Siria di parte delle acque dell’Eufrate. La Turchia aveva reagito pesantemente all’appoggio dato dal governo di Damasco al PKK, minacciando di attaccare la Siria, qualora non avesse eliminato le sue basi.

LA SIRIA E ASSAD

Nel 2007, proprio a Kobane, ebbero luogo violente manifestazioni anti-turche. Il leader curdo siriano Saleh Muslim, capo del PYD, si dissociò dall’insurrezione contro il governo alawita. Accusa il Consiglio Nazionale Siriano e l’Esercito della Siria Libera di fare il gioco della Turchia e quest’ultima di appoggiare il Califfato, in odio non solo sciiti, ma anche ai curdi. Nel 2012 si è accordato con Basher al-Assad per ritirare il grosso delle truppe governative dalle tre enclave curde esistenti nella Siria settentrionale. Fanno eccezione quelle schierate nell’enclave curda del Nordest del paese. In tale area le milizie curde – denominate Unità di Protezione del Popolo – si oppongono all’ISIS, combattendo con la 104^ Brigata, una delle più agguerrite unità rimaste leali al dittatore siriano e costituita prevalentemente da drusi. Altri curdi siriani, soprattutto nelle città di Damasco e Aleppo, si sono invece schierati con gli insorti contro Assad.

PKK E KRG

I radicali sunniti che aderiscono all’Hezbollah curdo in Turchia – che nulla ha che vedere con quello libanese – hanno aderito al Califfato e hanno assassinato – sembra con l’appoggio dei servizi di sicurezza turchi – taluni capi del PKK, che lo combattono sia in Iraq che in Siria. Solo recentemente, grazie all’attacco dell’ISIS, il PYD ha preso contatti con il Governo Regionale Curdo iracheno (KRG), che fino ad allora lo aveva osteggiato per i suoi legami con il PKK e la sua opposizione alla Turchia.

LA FRAMMENTAZIONE DEL POPOLO CURDO

La frammentazione è la caratteristica dominante del popolo curdo. Esiste anche nel Kurdistan iracheno. Il Partito Democratico del clan dei Barzani si contrappone all’Unione Patriottica, facente capo a quello dei Talabani. Dopo che, nel 1991, avevano acquisito una certa autonomia da Baghdad, grazie all’intervento internazionale, i peshmerga delle due fazioni si combatterono ferocemente dal 1994 al 1997. Barzani, che stava avendo la peggio, domandò addirittura l’aiuto di Saddam Hussein, che aveva massacrato i curdi meno di un decennio prima, ricorrendo anche all’uso di armi chimiche. La divisione permane. Dei circa 200.000 peshmerga in armi, solo 30.000 sono sotto comando unificato del KRG. Gli altri fanno capo ai rispettivi partiti, clan e tribù.

TRA INDIPENDENZA E AUTONOMIA

Malgrado l’aumento del nazionalismo curdo, è del tutto improbabile che la nazione curda possa superare le contrapposizioni esistenti al suo interno, condizione indispensabile per costituire uno Stato anche solo nel Kurdistan iracheno. A parer mio, fra i curdi iracheni e quelli siriani non è neppure configurabile una confederazione “leggera”. I curdi siriani vogliono l’autonomia, non l’indipendenza né la secessione. Anche quelli iracheni stanno diventando molto più cauti nelle loro richieste di secessione. Gli USA, che sono i loro migliori alleati, vogliono che l’Iraq rimanga unito. I turchi, con cui il KRG ha ottimi rapporti economici, non accettano neppure che si parli di uno Stato curdo. E’ realistico pensare che potranno essere realizzate solo regioni autonome, separate fra di loro in Siria e in Iraq, su cui la Turchia eserciterebbe un’influenza politica ed economica, molto simile a quella di una potenza mandataria. A parte ogni considerazione sulla sua fattibilità, la creazione di uno Stato curdo determinerebbe una nuova destabilizzazione del Medio Oriente e gravi conflitti fra gli stessi curdi.

IL CASO OCALAN

Chi sostiene senza distinguo il PYD, svolge forse inconsapevolmente un ruolo simile a quello che fu nel 1998 assunto dall’On.le Raul Mantovani, definito da Montanelli un vero e proprio “fenomeno da baraccone”. Egli decise di fare del caso del PKK, una causa della sinistra italiana. Nel dicembre 1998, portò in Italia dalla Russia, in cui si era rifugiato dopo essere stato cacciato dalla Siria, il capo del PKK Abdullah Ocalan. Seguì i consigli giuridici dell’attuale sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che lo aveva persuaso che l’Italia non lo avrebbe estradato, dato che in Turchia avrebbe rischiato la pena di morte. Mise così in difficoltà il governo D’Alema e rischiò di compromettere i nostri rapporti con Ankara. Numerosi negozi italiani furono saccheggiati in Turchia, finché i Servizi “convinsero” Ocalan a imbarcarsi su un loro aereo e a farsi portare in Kenia. Tale episodio mi viene sempre alla mente quando sento cantare “Bella Ciao” da parte dei miliziani curdi che difendono Kobane. L’entusiasmo gioca sempre brutti scherzi!

UN POPOLO SENZA UN TERRITORIO DEFINITO

I curdi sono stati nomadi fino a pochi secoli fa. Non hanno un territorio ben definito, anche a seguito delle emigrazioni interne e delle deportazioni subite sia dai persiani sia dagli ottomani. Istanbul è la città più popolata da curdi. A questo si è aggiunta l’emigrazione esterna, specie in Germania. Non è possibile creare un territorio curdo, neppure incentivando pulizie etniche volontarie. Talune fazioni curde sono disponibili ad accordi con la Turchia; altri con l’Iran. In Iraq e Siria, i curdi temono la vendetta sunnita. La recente costituzione in Turchia di un Partito separatista curdo (Partito del Kurdistan Libero) è più una provocazione nei confronti di Erdogan e dell’HDP, che un realistico progetto politico. La massa dei turchi sa che la Turchia moderna è stata fatta contro gli sforzi delle grandi potenze di tenere il paese diviso e la previsione del Trattato di Sèvres di costituire uno Stato curdo. Le “aperture” di Erdogan verso la questione curda mirano ad avere l’appoggio dell’HDP, presente nel Parlamento di Ankara. L’ambiguo atteggiamento turco nei confronti di Kobane ha provocato molte proteste da parte dei curdi della Turchia e rende difficile un’intesa.

LA TURCHIA NON ACCETTERÀ MAI UNO STATO CURDO

Verosimilmente, allorquando i tempi saranno maturi per una stabilizzazione del Medio Oriente, si ripeterà quanto avvenne nei negoziati che portarono ai Trattati di San Remo e di Losanna del 1921 e 1923. Entrambi non tennero conto della raccomandazione del Trattato di Sèvres di costituire uno Stato curdo. Le divisioni fra i rappresentanti alla conferenza di pace delle varie fazioni curde furono determinanti, in uno con la controffensiva turca guidata da Kemal Ataturk, nell’impedire la costituzione di uno Stato curdo. La Turchia non accetterà mai uno stato curdo, che comprometterebbe la sua unità. Può farlo anche perché oggi è molto più forte di quanto lo fosse dopo la sconfitta subita nella prima guerra mondiale. Quello che i curdi siriani e iracheni possono sperare è il riconoscimento delle loro identità di minoranza nazionale, l’uso della propria lingua, l’autonomia amministrativa e il diritto di trarre vantaggio dalle risorse naturali esistenti sui loro territori. Sarà loro possibile raggiungere accordi permanenti, però sotto lo stretto controllo di Ankara, come ipotizzato nella politica “neo-ottomana” del presidente Erdogan, che ha affermato la fine degli accordi Sykes-Picot e ipotizzato la costituzione di una fascia cuscinetto alle sue frontiere meridionali.

I CURDI IRANIANI

Non si è mai accennato ai curdi dell’Iran. Essi costituiscono un caso a parte. Sin dall’impero persiano, hanno goduto di maggiore autonomia e del riconoscimento della propria identità nazionale, forse per la comune origine etnica (sono discendenti dei Medi). Solo nel 1946, fu costituita – certamente per istigazione dell’URSS – la piccola repubblica curda del Mahabad, di cui rimane il ricordo nel partito comunista curdo iraniano PJAK, affiliato al PKK turco. L’autonomia sempre goduta dai curdi in Iran è stata rispettata anche dal regime khomeinista, malgrado le sue tendenze centralizzatrici. Questo spiega perché molti curdi iracheni abbiano sostenuto Teheran contro Baghdad nella terribile guerra del 1980-88. Durante essa ben un milione e mezzo di curdi iracheni si rifugiarono in Iran. Nel Kurdistan iracheno, l’Unione Patriottica di Talabani è legata all’Iran, mentre il Partito Democratico di Talabani lo è con l’Iran.



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