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Daniele Capezzone: “Perché dico no al riconoscimento dello Stato palestinese”

Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, Colleghe, Colleghi,

consentitemi di esordire ricordando il “contesto” in cui il “testo” di questo nostro dibattito si inserisce. E permettetemi di farlo citando la circostanza giustamente sottolineata qualche giorno fa, a Palazzo Madama, dal senatore Compagna (circostanza, invece, a mio avviso non abbastanza compresa, nel suo drammatico significato materiale e simbolico, dai media, dalla politica e dalla – diciamo – cultura italiana): ricordava il senatore Compagna che sabato scorso a Parigi, in un giorno di “Shabbat”, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Grande Sinagoga di Parigi era chiusa. E sappiamo perché.

L’Europa farà bene a comprendere e a non dimenticare questa circostanza.

Israele e gli ebrei non sono solo “Israele” e gli “ebrei”: sono il simbolo stesso del nostro Occidente. Lo sono per noi, e lo sono anche per i nemici dell’Occidente, per i nostri nemici, per i nemici della libertà e della democrazia, ad ogni latitudine.

Ciò premesso, vengo alla nostra discussione. In quest’Aula, abbiamo su questo tema, com’è naturale, culture, storie e sensibilità diverse tra noi. Ma tutti – credo – abbiamo in comune una valutazione e un obiettivo, e cioè che sia  interesse strategico dell’Italia e dell’Unione europea che il conflitto israelo-palestinese sia disinnescato una volta per tutte, come passo fondamentale per la pacificazione e la stabilizzazione dell’intero Medio Oriente e dell’area del Mediterraneo.

Ora, se la via è il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi tramite la ripresa di negoziati diretti che portino ad un accordo di pace complessivo e duraturo, nel rispetto del diritto internazionale e nella piena applicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ciò può essere garantito solo da una forte, credibile, imparziale azione da parte della comunità internazionale attraverso mediazioni costruttive, evitando atti e dichiarazioni che rischino solo di apparire come prese di posizione ostili e condizioni imposte ad una sola delle parti in causa, cioè a Israele, unico Stato davvero democratico dell’area.

Da questo punto di vista, poiché il linguaggio è lo specchio del nostro pensiero, mi sia consentito di esprimere un disagio rispetto alle formule che sento spesso (lo dico sommessamente: un po’ ipocrite) con cui si pone la questione in termini “simmetrici”: “entrambe le parti”, “da una parte e dall’altra”, e così via. Ecco: io non credo che possa esserci simmetria ed equidistanza tra uno Stato che ha scelto da sempre la via della democrazia e della libertà, e chi invece, non ha ancora saputo, potuto o voluto liberarsi dall’ombra e dall’ipoteca del terrorismo.

Allora, l’eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese al di fuori di un accordo di pace complessivo tra le parti non favorirebbe la ripresa dei negoziati diretti, ma al contrario rappresenterebbe un ulteriore ostacolo sulla via della pace, perché avrebbe l’effetto di aumentare il livello di diffidenza tra le parti e, soprattutto, di Israele nei confronti della comunità internazionale, compromettendo e vanificando l’importante ruolo di mediazione che l’Unione europea e in particolare l’Italia stanno da decenni svolgendo e devono continuare a svolgere.

Ricordo anche che il 30 dicembre 2014, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha bocciato una risoluzione dei Paesi arabi, promossa dall’Autorità nazionale palestinese, in cui si prevedevano unilateralmente termini e tempi di un accordo di pace, tra cui il riconoscimento della piena sovranità statuale palestinese entro il 2017.

Ma, anche al di là di questo, c’è un punto politico di fondo. La legittima aspirazione palestinese di un riconoscimento statuale non può trovare soddisfazione prima che l’altrettanto legittimo diritto degli israeliani alla sicurezza non sia assicurato attraverso l’abbandono da parte palestinese di qualsiasi aspirazione alla distruzione di Israele e atto d’aggressione ai suoi danni.

Mi lasci dire una cosa chiara. I popoli israeliano e palestinese hanno entrambi diritto a vivere in pace e in sicurezza, ma ciò può essere garantito, oltre che dalla soluzione “due popoli, due stati”, solo se anche il futuro Stato palestinese sarà uno Stato democratico, in grado di garantire ai suoi cittadini libertà e diritti umani fondamentali.

E quindi l’eventuale riconoscimento di uno Stato palestinese senza aver prima sciolto in un negoziato diretto i nodi del complesso negoziato, e soprattutto in presenza di un forte conflitto tra Anp e Hamas, quest’ultima un’organizzazione terroristica, per il controllo dei territori palestinesi, costituirebbe una minaccia all’esistenza stessa di Israele, ma anche nei confronti dello stesso popolo palestinese, che è, e sarebbe ancor più esposto non solo all’oppressione e alle violenze di Hamas, ma anche alle incresciose conseguenze delle legittime azioni difensive di Israele in risposta agli atti di aggressione lanciati dalla Striscia di Gaza o da altre zone dei territori palestinesi.

Per questo, il nostro Gruppo chiede al Governo:

-di evitare di compiere atti e gesti simbolici che possano rappresentare forme di riconoscimento, o portare ad una accelerazione di qualsiasi processo di riconoscimento, di uno Stato palestinese al di fuori del negoziato diretto e di un accordo di pace complessivo tra le parti;

-di sostenere, in sede sia bilaterale che multilaterale, e di concerto con gli altri Stati membri dell’Unione europea e con gli Stati Uniti d’America, il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi attraverso la ripresa del negoziato diretto come via maestra per arrivare alla soluzione “due popoli, due stati” e per l’attuazione degli Accordi di Oslo e delle relative risoluzioni delle Nazioni Unite;

-di evitare di compiere qualsiasi atto e gesto simbolico di legittimazione di organizzazioni terroristiche islamiche, Hamas compresa, e a promuovere nei loro confronti, di concerto con gli altri Stati membri dell’Unione europea e con gli Stati Uniti d’America, un’azione di intransigente contrasto ad ogni livello.

Daniele Capezzone



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