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Quirinale, la carta (fantasiosa?) Francesco Rutelli

E se il nome segreto di Matteo Renzi, da lanciare all’ultimo momento per l’elezione a presidente della Repubblica, fosse Francesco Rutelli?  Che alla guida della “Margherita”, fatta di petali ex democristiani, ex radicali, ex verdi e tante altre cose, sostenne e determinò il lancio politico di Renzi a Firenze come amministratore locale. E dalla cui covata, poi confluita nel Pd, lo stesso Renzi ha attinto parecchi dei suoi amici e collaboratori attuali, compreso il ministro degli Esteri ancora fresco di nomina Paolo Gentiloni, portavoce e poi assessore di Rutelli al Comune di Roma, e poi ancora ministro delle Comunicazioni del secondo governo di Romano Prodi con Rutelli, sempre lui, vice presidente.

“Sarebbe una bellissima idea”, diceva in questi giorni, seduto su un divano del Transatlantico di Montecitorio, l’ex democristiano e altro ancora Pino Pisicchio, presidente del gruppo misto della Camera, amico e coetaneo tanto di Rutelli quanto di Gentiloni. “Chi potrebbe considerarlo nemico?”, chiedeva Pisicchio ai giornalisti che gli stavano seduti accanto.

In effetti Rutelli, affettuosamente chiamato “Cicciobello” da Prodi per la bonomia e la capacità di tenere buone relazioni con tutti, a destra e a sinistra, sembra fatto apposta per non avere nemici, o per averne in modica e sopportabile quantità. Egli ha saputo, fra l’altro, entrare ed uscire da varie famiglie e compagnie politiche – dai radicali ai verdi, dai post-democristiani ai post-comunisti – senza provocare o subire le polemiche roventi che di solito accompagnano i traslochi partitici.

Marco Pannella ancora parla di Rutelli, se non con nostalgia, con l’orgoglio e l’affetto degli anni in cui combattevano insieme le battaglie libertarie. Pier Luigi Bersani sorride bonariamente, come solo gli emiliani sanno fare, quando qualcuno gliene parla, pur avendo Rutelli abbandonato nell’autunno del 2009 il Pd, che pure aveva contribuito a fondare come presidente della Margherita poco più di due anni prima, indicando nell’elezione dello stesso Bersani a segretario, succeduto a Walter Veltroni e a Dario Franceschini, come un eccessivo spostamento a sinistra del partito. “Un partito – scrisse già nel titolo della lettera pubblica di commiato – che non è mai nato”, almeno come lui aveva immaginato che dovesse nascere e quindi crescere, superando davvero le provenienze ideologiche e storiche dei suoi dirigenti e militanti. Anche Massimo D’Alema, d’altronde, aveva parlato di “amalgama mal riuscito” liquidando la segreteria di Veltroni.

Quando lasciò il Pd Rutelli era presidente del Copasir, sigla del comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti, alla cui guida la legge prescrive un esponente dell’opposizione. E Rutelli appunto lo era, come senatore del Pd, essendo uscito dalle urne del 2008 il governo il centrodestra di Silvio Berlusconi. Al quale Rutelli continuò ad opporsi anche dopo avere lasciato il partito finito nelle mani di Bersani, per cui avrebbe potuto conservare l’incarico di presidente del Copasir. Ma lui sentì il buon senso e il buon gusto di dimettersi per farsi sostituire da un dirigente del maggiore partito di opposizione: Massimo D’Alema. Che con ben diversa sensibilità rimase però ben fermo al suo posto due anni dopo, quando la formazione del governo tecnico di Mario Monti determinò il passaggio del Pd dall’opposizione alla maggioranza. E all’opposizione si collocarono a destra la Lega e a sinistra i vendoliani. Sarebbe spettato a loro, a quel punto, la presidenza del Copasir. Ma la legge, si sa, si applica ai nemici, s’interpreta per gli amici.

Tutto questo, a pensarci bene, potrebbe ora giocare a favore di Cicciobello se Renzi o Berlusconi, meglio se entrambi, volessero giocare a sorpresa la sua carta nella corsa al Quirinale. Lui, Rutelli, è prudentemente scomparso in questi giorni dalla circolazione. La moglie Barbara Palombelli, brava e simpatica giornalista da qualche tempo accasatasi felicemente e meritatamente nella Tv del Biscione, dopo una lunga e apprezzata collaborazione alla Rai, si è occupata della corsa al Quirinale come “Osservatrice Romana” del Foglio per sostenere la candidatura di Emma Bonino. Che sicuramente al Colle ci saprebbe stare, senza sottrarsi alle cure chemioterapiche che lei stessa ha annunciato a Radio Radicale con una onestà e un coraggio che le fanno semplicemente onore.

Diavolo di un uomo, potrebbe giocare a favore di Rutelli anche il tifo generoso della moglie per Emma Bonino, sempre che la carta di Cicciobello fosse veramente quella segreta di Renzi e/o di Berlusconi. Ma stiamo ragionando o fantasticando? O rasentiamo il “cazzeggio”, come Massimo Gramellini su La Stampa ha liquidato la candidatura di Giancarlo Magalli al Quirinale? Che è stata preferita via web dai lettori anti-casta del Fatto Quotidiano a Stefano Rodotà, ormai troppo consumato pure lui per età, dottrina e frequentazione dei palazzi della politica dopo il fallito lancio grillino di due anni fa.


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