Non può ancora considerarsi un’invasione, ma la Giordania inizia a sentire il fiato sul collo. Da più parti è considerata il ventre molle della regione e ora ha paura: l’Isis è alle porte e in qualche misura, forse, le ha già attraversate.
Dopo una giornata di false piste sul rilascio degli ostaggi, lo Stato islamico ha diffuso nella notte un audiomessaggio del giapponese Kenji Goto, in cui si dà tempo alle autorità di Amman fino al tramonto di oggi per liberare la terrorista Sajida Al Rishawi e portarla al confine con la Turchia. Se questo non avverrà, ad essere ucciso sarà il pilota giordano Muath Al Kaseasbeh, anch’egli nelle mani dei jihadisti. Queste richieste, tuttavia, non sono casuali né nella modalità, né tantomeno negli obiettivi.
GLI OCCHI SU AMMAN
Gli uomini di al-Baghdadi hanno messo da tempo gli occhi sulle fragilità giordane, una lente attraverso la quale osservare, con maggiore chiarezza, i punti di forza dell’Isis stessa.
Da molti anni, Amman rappresenta l’unico corridoio aperto che l’Iraq – dove l’Isis ha importanti roccaforti, come Mosul – ha per il mondo esterno. Una miniera d’oro per i traffici illeciti che finanziano il Daesh, il nome arabo del califfato nero.
(fonte: Foreign Policy)
LE FRAGILITÀ GIORDANE
A queste mire, rilevano in molti, la Giordania potrebbe non essere capace di porre un argine. “Il successo dell’Isis nell’area – spiega a Formiche.net Nicola Pedde, esperto di Medio Oriente e presidente dell’Institute for Global studies – deriva soprattutto dal fatto che le popolazioni locali spesso non oppongono alcuna resistenza alla sua avanzata, non lo considerano un nemico“. Ecco perché il caso giordano è particolarmente preoccupante. Ma non solo. “La Giordania è un Paese con una grossa percentuale di gente non autoctona, che vive in grandi campi profughi, come quello di Al Azraq, nel deserto orientale“. Un paio di villaggi subito oltre i confine “sono già andati“, aggiunge, e sbaglia chi pensa che l’attenzione dei jihadisti per la Giordania derivi dal suo posizionamento moderato nel mondo dell’Islam sunnita. “Le motivazioni religiose dello Stato islamico sono solo un paravento: è il denaro l’unico movente ed è per questo che il Paese è in pericolo“.
GLI SCENARI POSSIBILI
Amman è a 466 miglia da Fallujah, controllata dai jihadisti, ma a circa la metà dal confine con l’Iraq. Si trova a poco più di 40 chilometri dal confine con la Siria e più o meno alla stessa distanza da Gerusalemme. L’edizione americana dell’Huffington Post ha delineato ben 4 scenari nei quali l’Isis potrebbe attaccare la Giordania, senza però costituire mai un pericolo reale per la monarchia guidata da re Abdullah. Il Paese rappresenta un obiettivo troppo strategico e, soprattutto, l’ultimo baluardo prima che l’Isis possa impensierire anche i confini di Israele. Ecco perché molti osservatori ritengono che Tel Aviv, Washington e gli stessi alleati che compongono la coalizione internazionale contro il Daesh (alla quale partecipa anche Amman), potrebbero difficilmente accettare inerti un’ipotesi di questo tipo.
UNA VERA RED LINE
Con molta enfasi, ma con un linguaggio che lascia poco spazio a interpretazioni, è David Rothkopf – Ceo ed editor del FP Group e autore di “National Insecurity: American Leadership in an Age of Fear” – a spiegare che da qualche parte, al di fuori di Amman, nei deserti che confinano a nord con la Siria e a est con l’Iraq, “c’è una nuova Sarajevo“. “Se gli estremisti dell’Isis dovessero passare quel confine – commenta su Foreign Policy – il conflitto esploderebbe e crescerebbe in modo esponenziale. Si tratta di una linea rossa che potrebbe innescare un cambiamento storico, come quello che avvenne nella città jugoslava e diede il via alla Prima guerra mondiale cento anni fa“.