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Ostaggi Isis, perché con i terroristi non si può e non si deve trattare

La guerra contro l’Isis prosegue, sebbene da noi ormai non se ne parli quasi più. Dopo l’uccisione del giornalista giapponese la scorsa settimana, la Cnn ha diffuso la notizia che vi sarebbe un nuovo ultimatum del Califfato in cui si dà tempo alla Giordania fino al tramonto di oggi per liberare la terrorista Sajida al Rishawi e portarla al confine con la Turchia. In caso contrario sarà ucciso il pilota connazionale Muath al Kaseasbeh, sequstrato dei jiadisti. Non è chiaro, invece, che ne sarà di Goto, ossiadell’altro ostaggio giapponese, né tanto meno se sarà liberato. Anzi può darsi, come ha fatto trapelare Al Jazira,che in cambio della terrorista Rishawi siano licenziati entrambi.

Il punto politico fondamentale, d’altronde, non è se e quando lo scambio di prigionieri verrà fatto, ma l’opportunità politica di procedere ad un negoziato di questo tipo e a questo livello. Naturalmente ogni singolo Paese decide autonomamente, anche sulla base dell’interesse specifico e delle proprie informazioni di intelligence. Tuttavia emerge comunque un problema generale che riguarda niente meno che l’essenza dello Stato nell’età della globalizzazione.

Chi ha un po’ di memoria storica si ricorderà quanto fu complesso il riconoscimento della sovranità di Slovenia, Croazia e Serbia, dopo lo sfaldamento della Jugoslavia. Anche la questione bosniaca, con la terribile guerra etnica che si produsse, era conseguenza di una difficile e incerta gestione internazionale del riconoscimento dei nuovi Stati che si andavano formando, con confini non sempre chiari e con scarsa o impossibile omogeneità religiosa e culturale tra i rispettivi popoli.

In quel frangente il riconoscimento pubblico di Stati nuovi passò attraverso un vaglio internazionale, da cui non fu immune neanche il Vaticano. Ed è stata la stessa comunità internazionale a definire cent’anni fa allo stesso modo quasi tutti i confini mediorientali, così come li abbiamo conosciuti fino ad oggi.

Certamente oggi nessuno pensa di riconoscere l’Isis. Ma le pretese che il Califfato ha sono di essere una vera e propria sovranità, che applica il principio totalitario del controllo assoluto delle persone nel territorio, con l’intenzione di allargare il suo spazio vitale sempre di più a danno dei vicini e lontani popoli della terra. Come tutti gli Stati totalitari l’Isis ha uno sfondo religioso panteista che serve per giustificare l’autocrazia politica che ne è al vertice. Ora è proprio il il fatto che non sia uno potere pubblico legittimo ad implicare che non possa essere autorizzato a comportarsi come un soggetto istituzionale normalmente riconosciuto in un negoziato internazionale di pace o di guerra.

E qui emerge il problema della trattativa e dello scambio di prigionieri.

La minaccia di uccisione di vittime innocenti non dovrebbe autorizzare uno Stato legittimo, com’è la Giordania, a rilasciare persone che sono condannate secondo le leggi in vigore nel proprio Paese. Automaticamente, infatti, con una grazia del genere l’Isis verrebbe ad essere riconosciuto de facto dalla Giordania come uno Stato a tutti gli effetti. E l’atto costituirebbe un precedente pericolosissimo il quale, come avviene quando si pagano i riscatti, oltretutto accrescerebbe all’istante l’efficacia dei sequestri di persona.

Quello che dico, d’altronde, non è niente di originale. In fondo il ragionamento è lo stesso che fu fatto da noi in occasione del sequestro di Aldo Moro da parte delle BR nel 1978. La linea della non trattativa si giustificava allora proprio per non consentire la legittimazione politica di un’associazione eversiva.

Oggi, invece, si prendono molto sottogamba a livello internazionale e nazionale le implicazioni che hanno riconoscere uno Stato totalitario che si autoleggittima attraverso la minaccia truculenta e distruttrice. Certo, si dirà, non è possibile stare a guardare le decapitazioni senza far nulla, non essendo umano non fare quanto è possibile per liberare poveri innocenti dal supplizio. Ma tra agire in modo sbagliato e non agire per niente c’è comunque un’altra strada migliore e più opportuna che è decidersi ad agire frontalmente contro questo pseudo Stato terroristico, annientandone le pretese.

Purtroppo la politica si trova davanti spesso all’alternativa disgustosa di quantità sulla vita umana, non potendo garantire se non il minimo di perdite. E sebbene la morte politica di qualcuno sia sempre un fallimento della civiltà, scambiare ostaggi con un clan che pretende di diventare Stato nazista in espansione è molto, molto peggio, rischiando di essere il miglior combustibile sul mercato per espandere la malattia che si vuol curare.

Viene di domandarsi, infine, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite cosa stiano facendo e se esistano realmente ancora. E perché la comunità internazionale non intervenga duramente a difendere la libertà e la democrazia globale, così radicalmente minacciate ovunque, da un gruppo di statalisti criminali e fondamentalisti, cui mai e poi mai si deve concedere il privilegio della legittimità.



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