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Mattarella, ecco cosa pensano i militari del nuovo capo dello Stato. Parla il generale Tricarico

Tra i suoi tanti incarichi politici e istituzionali, Sergio Mattarella ha rivestito anche quello di ministro della Difesa. Un ruolo che ha svolto dal 1999 al 2001, sotto le presidenze di Massimo D’Alema e Giuliano Amato.

Come gestì il dicastero? Per quali decisioni prese allora è ancora ricordato? E quale il suo gradimento nel mondo militare?

Tutti aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e consigliere militare di D’Alema quando Mattarella era il titolare di Via XX Settembre.

Generale, che ministro della Difesa è stato Sergio Mattarella?

La sua è stata una gestione senza scosse. Come tutti i ministri della Difesa che si sono avvicendati a Via XX Settembre, tranne uno, è stato una persona seria. Tutti i titolari del dicastero hanno un approccio con un ambiente non familiare, a volte sconosciuto. Ma una volta rotto il ghiaccio, si mettono a studiare. Si interessano, recepiscono, assorbono. Lasciano il ministero con sentimenti di grande comprensione per il lavoro svolto dalle Forze Armate. Mattarella è stato uno di questi: gli piaceva ascoltare e apprendere.

Quali figure istituzionali, militari e tecniche gli sono state maggiormente vicine in quel periodo?

Il mandato fu assecondato dall’avere a sua disposizione come capo di gabinetto Giampaolo Di Paola e come capo di Stato Maggiore della Difesa Mario Arpino. Due elementi di prim’ordine che gli hanno consentito di fare il ministro delegando molto e dormendo sonni tranquilli. Sul versante degli Affari esteri, contava sulle competenze dell’ambasciatore Francesco Maria Greco.

Da capo dello Stato, Mattarella sarebbe anche capo delle Forze Armate e presidente del Consiglio Supremo di Difesa. Secondo il mondo militare, come dovrebbe svolgere questi ruoli?

Siamo in un momento delicato. C’è una deriva, che speriamo non sia inarrestabile, verso un uso non militare delle Forze Armate. Mi riferisco a missioni come Mare nostrum, Strade sicure, iniziative contro il terrorismo o di vigilanza alle discariche nella Terra dei fuochi. Questi episodi sono accentuati dal contestuale disimpegno militare in aree di crisi. Una scelta paradossale, dal momento che le crisi si moltiplicano. Purtroppo, se i militari italiani non vengono più impiegati all’estero, in pochi anni finiremo per non avere più un esercito degno di questo nome. Il nuovo presidente, chiunque esso sia, dovrà guardare a questo aspetto con molta attenzione. Nel caso fosse Mattarella, non partirebbe da zero, ma avrebbe già un background per valutare questa situazione.

Per quali scelte lo ricorda?

Sotto il suo mandato sono state prese decisioni importanti: molte sono note, come la fine del servizio di leva obbligatorio e l’apertura alle donne nelle Forze Armate. Entrambe, pur se epocali, furono accettate. La riforma della leva era inevitabile dal punto di vista tecnico, prima che sociale. Mentre all’apertura alle donne arrivavamo per ultimi, quindi ampiamente preparati. Invece, ci sono due decisioni che forse vengono sottaciute perché estremamente tecniche, eppure importantissime.

Quali?

La prima fu riguardo l’uso degli Uav, i cosiddetti droni. Quella scelta ci ha portato oggi ad essere gli unici in Europa a saper usare con punte di eccellenza quel sistema. Grazie alla seconda, la difesa entrò invece ad essere parte attiva delle attività spaziali. Se oggi Samantha Cristoforetti è in missione è anche merito suo.

Quale invece la sua dimensione estera, in particolare sul versante transatlantico?

Il governo presieduto da Massimo D’Alema, di cui Mattarella era ministro, ha avuto rapporti eccellenti con gli Usa. Questo nonostante ci fossero stati eventi come quello del Cermis, che rischiarono seriamente di deteriorare le relazioni tra i due Paesi. Ma erano solide e lo sono rimaste anche con i governi che si sono succeduti. Personalmente, non sono sicuro che sia una dimensione irrinunciabile, perché l’attività di un capo dello Stato in quel frangente è spesso di carattere puramente protocollare. Tuttavia è importante che ci sia. L’importante è che queste qualità siano in armonia con la dimensione estera di Palazzo Chigi.



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