Un terremoto, inutile negarlo. Matteo Renzi ricompatta il Pd e l’intera sinistra, spacca Forza Italia, manda in bambola il Nuovo centrodestra, relega i pentastellati al loro universo di Ufo e complotti stellari (come si fa a puntare su Imposimato nessuno riuscirà mai a spiegarlo) e ridimensiona (ai minimi termini) il plurimediatico Matteo Salvini, davvero ridicolo nel far votare un giornalista sia pur di serie A come Vittorio Feltri. Infine, il capo del governo e del Pd elegge un presidente che non gli farà ombra, almeno nel breve termine. Sergio Mattarella non era il suo candidato, in molti hanno lavorato ai fianchi (per esempio Beppe Fioroni e Lorenzo Guerini) e senza dubbio c’è dietro la mano sapiente di Giorgio Napolitano, che uscito dal fortilizio del Quirinale, ha ritrovato libertà di manovra. In ogni caso, sarà un presidente che sta al suo fianco.
Ma nel giorno in cui fioriscono i retroscena, proviamo a guardare un po’ avanti per capire cosa dovranno fare i protagonisti della nuova pièce nel teatro politico italiano. E cominciamo dal nuovo presidente. Sentiremo, martedì, il discorso che per scaramanzia non ha scritto, ma che ha già ben chiaro in mente. Il suo compito è molto complicato, sarà soprattutto il lavoro di un tessitore, diverso dal mestiere di distruttore e ricostruttore svolto da Napolitano negli ultimi quattro anni. Infatti, spetta a lui gestire la transizione verso la nuova Repubblica (terza o vera seconda?, ai posteri l’ardua sentenza) che si accompagna a una revisione costituzionale destinata a cambiare gli equilibri tra i poteri.
In primo luogo, Mattarella dovrà affrontare i poteri del presidente in rapporto a un capo del governo che sarà molto più potente, fino al punto da sottrargli (o quasi) il compito più importante, quello di fare i governi. Poi dovrà riassestare il ruolo del potere giudiziario che da quindici anni è diventato, rispetto agli altri due poteri costituzionali, quanto meno un primus inter pares. Inoltre, deve rappresentare l’Italia in una Unione europea che si sta frantumando e rinazionalizzando e dove l’europeismo vecchia maniera non è più sufficiente. Mentre sembra ben attrezzato per i primi due compiti, qui Mattarella è una incognita totale. Dunque, wait and see.
E Renzi, come gestirà un successo che lascia morti e feriti? In primo luogo deve chiarire il rapporto con Angelino Alfano e il suo partitino allo sbando che prima s’è riavvicinato a Berlusconi per valorizzare il voto di scambio, poi ha fatto l’offeso, alla fine ha votato per un candidato che in effetti ha il profilo perfetto per gli Angelino’s boys: ex democristiano, moderato, cauto, attento agli equilibri, lontano dalla storia della sinistra socialcomunista.
Che cosa poteva volere di più Alfano? C’era qualcuno dal profilo migliore agli occhi del Ncd? Adesso, si presenta davanti a Renzi più debole e confuso. Lascerà il governo? E quando mai? Alzerà la posta? E con quali numeri? Se avesse appoggiato fin dall’inizio un uomo che in fondo viene dal suo milieu (persino dalla sua madrepatria) Alfano avrebbe potuto incassare quello che oggi non è in grado di pretendere.
Ma il compito più difficile sarà riannodare il rapporto con Silvio Berlusconi. Non con Forza Italia, perché il partito mostra di essere spaccato e forse irrimediabilmente. Renzi e l’ex Cav. hanno bisogno ancor oggi l’uno dell’altro: il capo del governo ha un Parlamento che non controlla, il capo dell’opposizione (altri capi non ci sono dopo il suicidio di Grillo e la magra di Salvini) non possiede piena agibilità politica. Il problema di Berlusconi, però, è più serio rispetto a quello di Renzi. Infatti, deve portare a compimento l’opera che ha finalmente (forse già troppo tardi) cominciato, cioè la sua successione, la maturazione di un nuovo gruppo dirigente, la ricostruzione di un centro-destra del quale l’Italia ha bisogno per diventare un sistema politico davvero maturo e far finire la guerra civile. Tutto ciò appare molto difficile, anche se resta indispensabile.
Quale sarà la ricaduta sulle riforme? Ci sarà, anche se vogliamo azzardare che non avrà un impatto distruttivo. Nei commenti a caldo si sentiva dire da autorevoli politologi che il dilemma sarà riforme o voto. In realtà il vero binomio può essere a questo punto riforme e voto, con un Renzi che fa l’en plein.
Dunque, calma e gesso, è interesse degli sconfitti ragionare a mente fredda per cercare di recuperare e dei vincitori ascoltare il vecchio detto: al nemico che fugge, ponti d’oro.