Con un intervento di rara sobrietà nel panorama politico e istituzionale italiano il nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha prestato giuramento di fronte al Parlamento in seduta comune. Tracciando i contorni del suo ruolo al Quirinale: “Un arbitro garante della Costituzione, che applica le regole in modo imparziale facendola vive giorno per giorno. E che per tale ragione ha bisogno dell’aiuto dei giocatori”, ha detto il presidente della Repubblica.
Per approfondire i temi toccati dal nuovo capo dello Stato e capire le valenze politiche del suo linguaggio, Formiche.net ha sentito Stefano Menichini, ex direttore di Europa e firma del Post.
Come valuta il discorso pronunciato dal presidente della Repubblica?
Sergio Mattarella è riuscito a tenere un intervento privo di retorica, caricato di un peso non voluto e non ricercato a causa dei ripetuti applausi tributati dai parlamentari. Evidente segno di sollievo per la personalità e il tipo di soluzione individuati nella complessa elezione del Capo dello Stato.
Riscontra differenze rispetto allo stile di Giorgio Napolitano?
Negli interventi e ragionamenti di Napolitano emergeva il profilo di un programma politico di ampio respiro, a causa della profonda fragilità del ceto partitico. Il mandato presidenziale di Mattarella richiederà un tasso minore di intenzionalità politica. Mentre è stata marcata l’idea di Repubblica e di Costituzione che il nuovo inquilino del Colle ha voluto rappresentare e in cui si è voluto riconoscere. È in tali argini che l’ex giudice della Consulta iscriverà il proprio compito guidando la dinamica istituzionale e politica.
Le parole dell’ex giudice costituzionale apparivano più rivolte al ceto politico-istituzionale che all’opinione pubblica?
Il linguaggio è meno diretto, immediato e popolare rispetto a tanti politici di questo tempo. È più tradizionale e comprensibile da parte del circuito politico-mediatico. Ma l’intenzione è parlare ai cittadini, che avranno apprezzato la sua serietà stanchi come sono dei torni da rissa e del contrasto polemico prevalenti nell’arena pubblica.
Il Presidente della Repubblica ha rivendicato il ruolo delle formazioni sociali intermedie, patrimonio della cultura politica cattolica. E ha caldeggiato il riconoscimento pieno dei diritti civili nella sfera affettiva. È una contraddizione?
Assolutamente no. La sua è una concezione ampia, moderna, aggiornata e laica della Costituzione. Che lo rende cosciente di essere il Presidente di tutti i cittadini. Non vi è stata traccia di alcun tipo di rivendicazione di un ruolo pubblico della fede. Il che non gli ha impedito di riconoscere l’esigenza di un supporto effettivo alla famiglia. E pur valorizzando il ruolo delle formazioni sociali e politiche, non ha mancato di metterne in luce la crisi di rappresentatività. Fattore che ha portato Matteo Renzi a saltare la loro intermediazione nell’iniziativa del governo.
Per ricordare gli effetti del terrorismo e fanatismo religioso il Capo dello Stato ha citato il nome di Stefano Gay Tachè, il bambino vittima dell’attentato alla Sinagoga di Roma nell’ottobre 1982.
È stato un segnale fortissimo, molto duro e netto nell’impatto. Perché quella vicenda è stata spesso rimossa dalla memoria collettiva. E bene ha fatto il Capo dello Stato a pronunciare le parole “un nostro bambino italiano”. Un passaggio rilevante per parlare del contrasto rigoroso e ragionato a un terrorismo la cui matrice è evidente agli occhi di tutti. Tanto più ricco di significati per un politico cattolico forse disarmato, ma tutt’altro che e inerte e pacifista.
La presenza di Mattarella al Quirinale potrà produrre riflessi positivi sul centro-destra?
Il centro-destra ne trarrà beneficio se avrà imparato la lezione riconoscendo il grave errore compiuto nel rifiutargli un appoggio limpido e aperto fin dal primo momento. Ma nutro dubbi al riguardo.
Per quale motivo?
Nel 2006 la Casa delle libertà commise lo stesso sbaglio chiamandosi fuori dalla scelta di Giorgio Napolitano. Salvo recuperare un rapporto costruttivo con un Capo dello Stato rivelatosi garante di tutti. Peraltro Mattarella non proviene dalla storia del Partito comunista. E tutti gli alibi utilizzati dalle formazioni conservatrici con lui dovevano venire meno.
Cosa dovrebbe fare il centro-destra per rimediare all’errore?
Reinvestire con convinzione nel processo riformista, respingendo le proposte di chi invoca la rottura degli accordi raggiunti e l’apertura di guerriglie parlamentari. La strada migliore è prospettare punti di vista differenti sul percorso di riforme facendo parte del processo che cambia il funzionamento delle istituzioni. Terreno nel quale il centro-destra troverà sponde e aperture nel Pd di Renzi. Far pesare il proprio ruolo politico è l’unico strumento per ricostruire fisionomia, identità e progetto politico.