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Perché Anonymous ha attaccato (forse) Isis

All’indomani della strage nella redazione parigina di Charlie HebdoAnonymous aveva dichiarato guerra all’Isis. Una minaccia che ha preso forma ieri, quando il gruppo di cui fanno parte alcuni degli hacker più esperti al mondo, avrebbe sferrato un nuovo, potente attacco contro i jihadisti.

COSA È SUCCESSO

Secondo una dinamica non ancora confermata, ma ripresa più dalla stampa italiana che da quella estera, siti riconducibili allo Stato islamico sono stati oscurati, violati, modificati dal gruppo, così come centinaia, di account Twitter e Facebook, anche questi attaccati e messi offline. Infine è stata pubblicata online una lunga lista di indirizzi ip e email, che ogni ora si aggiorna con nuovi bersagli e obiettivi “centrati”. Il tutto, annunciato da un video (sotto il filmato integrale) che spiegava: “Sarete trattati come un virus, e noi siamo la cura”.

I MOTIVI

Ma perché un gruppo come Anonymous, a sua volta guardato con sospettosa attenzione dal governo americano e in passato accusato di diverse offensive cibernetiche ai danni di Washington (e non solo), ha deciso di schierarsi a fianco dei nemici del Califfato? Nel comunicato diffuso, gli hacker hanno provato a dare la loro versione su cosa li abbia spinti ad attaccare l’Isis: “Siamo di tutte le razze e veniamo da tutti i Paesi, religioni, etnie. Ricordate, i terroristi che si fanno chiamare Stato Islamico non sono musulmani“. Nel filmato, il gruppo svela le sue ragioni con chiarezza. “Vi prendete la libertà di uccidere persone innocenti, e noi vendicheremo la loro morte”, ammonisce il protagonista del video, un rappresentante del ramo belga del collettivo hacker, col volto coperto dalla maschera di Guy Fawkes e la voce camuffata.
Non imporrete la legge della sharia sulle nostre democrazie, non permetteremo alla vostra stupidità di uccidere i nostri diritti, la nostra libertà di espressione”.

IL RILANCIO DI ANONYMOUS

Anonymous pare aver lanciato una vera e propria “chiamata alle armi” digitale contro i drappi neri; una crociata virtuale che l’Occidente per il momento non osteggia perché funzionale ai suoi piani, anche se, come spiega Claudio Neri, direttore di ricerca dell’Istituto Machiavelli, potrebbe non avere solo ragioni idealistiche. “L’impegno di Anonymous non deve stupire. È una realtà varia, con molte sensibilità, alcune delle quali non necessariamente in conflitto o addirittura molto vicine ad alcuni governi. Se confermato, questo attacco potrebbe avere un duplice obiettivo. Da un lato essere un modo per il movimento di ritornare in primo piano nelle cronache, dopo essere caduto un po’ nel dimenticatoio rispetto aglia anni passati. Dall’altro potrebbe essere il frutto dell’attività di soggetti non così alieni dalla politica di alcuni Paesi“. Alcuni esperti notano che la presenza online dei terroristi offre anche vantaggi strategici che ora potrebbero venir meno, come la possibilità di renderli “visibili” e tracciarne meglio le attività. Ma Neri va oltre. “Il lavoro di Anonymous può tornare utile, perché la minaccia digitale dell’Isis è molto diffusa e ha dinamiche completamente differenti da quelle di al-Qaeda. Mentre quest’ultima diffondeva i video in modo centralizzato, lo Stato islamico fa partire i filmati da una sorta di dipartimento centrale, dal quale poi vengono diffusi da una miriade di account di supporto. Ecco perché il contrasto degli hacker può rivelarsi efficace“.

LA SFIDA DIGITALE

Che la guerra con l’Isis si fosse spostata definitivamente anche sul fronte cibernetico era diventato chiaro pochi giorni fa, quando si è scoperto che a seguito della direttiva emanata a novembre scorso, i miliziani di al-Baghdadi a Raqqa, “capitale” del Califfato in Siria, hanno bandito i prodotti Apple – iPhone, iPad, iPod – nel timore di essere tracciati. “Dicono che gli Usa possono vedere quello che fai“, ha raccontato uno degli attivisti anti-Isis di Raqqa intervistato dall’International Business Times. Inoltre l’Isis, nei territori sotto il proprio controllo, “ha creato gruppi di tecnici per bloccare il servizio Gps, cosa che viene richiesta anche ai combattenti“.


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