I 13 punti per una road map di pace sembrano un piccolo passo in avanti rispetto alla violenza incontrollata delle scorse ore, ma a conti fatti, nella crisi tra Kiev e i ribelli filorussi non è cambiato poi molto. Il piano è stato costruito sulla base del protocollo di Minsk di settembre, rivelatosi fallimentare e oltremodo fragile, notano alcuni addetti ai lavori. Tanto che mentre negli Usa prende corpo l’ipotesi di armare l’Ucraina a fini difensivi, Putin sta già pensando a cosa fare prima che l’intervento occidentale possa riportare in equilibrio la situazione.
LA STRATEGIA DEL CREMLINO
La strategia del Cremlino è chiara, spiega Foreign Policy: “Meglio colpire per primi“, come in Crimea, prima che Kiev possa essere messa in condizione di difendersi dai ribelli filorussi armati da Mosca.
Nella tattica di Putin, ricordava Paolo Messa, “sembra prevalere l’approccio di un continuo stop and go che consente comunque ai suoi di avanzare nel territorio sovrano dell’Ucraina. Fin qui, si è sempre fermato un attimo prima che la situazione degenerasse in modo irreversibile. Quanto però potrà andare avanti così? Fino a quando la comunità internazionale potrà illudersi che bastino le sanzioni economiche?” E soprattutto, fino a quando il Vecchio continente non porrà in essere un cambio di passo?
UN’EUROPA DIVISA
Per molti osservatori, la missione franco-tedesca non è stata poi così brillante e non si può ormai prescindere da un’adeguata reazione militare che scongiuri che la guerriglia precipiti in guerra e che gli spettri di un’Europa divisa e in pericolo facciano di nuovo capolino.
Il forzista Daniele Capezzone sente in Europa “un’arietta da “Monaco 1938″ che non è per nulla rassicurante: anche allora qualcuno, nelle democrazie occidentali, credette di poter “venire a patti” e “fare concessioni” a chi faceva invasioni, cioè – in quel caso – alla Germania hitleriana“. La Storia dimostrò poi come quella valutazione fosse tristemente errata.
LA DEBOLEZZA DELLA RUSSIA
Il problema, in questo caso, non è la Nato, né tantomeno l’Unione europea. Putin, spiega a Formiche.net l’ambasciatore Guido Lenzi, già direttore dell’Istituto Europeo di Studi di Sicurezza a Parigi e Rappresentante Permanente presso l’Osce a Vienna, “prova piuttosto con difficoltà a uscire dall’angolo in cui si è cacciato da solo. La Russia è aggressiva perché si sente vulnerabile e con le spalle al muro. Non sa che fare. La visita diplomatica di Merkel e Hollande è stata positiva -, perché ha dimostrato che l’asse franco-tedesco che ha finora trainato l’Europa non è stato usurato del tutto dalla crisi economica – ma non poteva essere risolutiva. Anzi, nulla è cambiato rispetto ai fallimentari accordi di Minsk, stipulati mesi fa e mai rispettati”. Quanto al ruolo di Bruxelles, per Lenzi “è naturale che Lady Pesc Federica Mogherini non sia stata della partita, perché è una rappresentante di quell’Unione europea di cui Putin, almeno a parole, contesta l’allargamento”.
In verità, prosegue l’ambasciatore, “Mosca oggi è più isolata e in condizioni economiche peggiori di un anno fa. Il presidente russo non vuole apparire sconfitto e ha bisogno di mostrare in patria che le province russofone nell’Est del Paese usciranno da questo conflitto con ampia autonomia. Solo così l’Orso russo sarà disponibile a tirare indietro gli artigli“.