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Intelligence, comunicazione e istituzioni. Ecco il Mattarella pensiero

“Gli organismi informativi non sono al servizio del governo, bensì operano, sotto la direzione dell’esecutivo in carica, a beneficio della sicurezza dello Stato ordinamento e, pertanto, nell’interesse dell’intera collettività nazionale… E’ pertanto nella logica del sistema chiarire ai cittadini come le finalità di interesse generale proprie dei Servizi vengono in concreto realizzate. L’opposta filosofia del silenzio è, sotto tale aspetto, tipica dei regimi autoritari, dove i Servizi operano a tutela della classe politica egemone”.

Sembrano parole tratte dalla pubblicistica sviluppatasi in questi ultimi anni a seguito dell’approvazione della riforma dell’intelligence italiana e invece risalgono a più di quindici anni fa e, in particolare, a un’intervista apparsa nel 1999 sul numero 15 di  “Per aspera ad veritatem”, la rivista del SISDE, e rilasciata dall’allora Vice Presidente del Consiglio con delega ai Servizi di informazione, on. Sergio Mattarella. Un’intervista dal titolo davvero significativo: “Comunicazione pubblica e comunicazione dell’intelligence”.

In quel momento, pur nella scia dell’importante lavoro svolto dalla Commissione Jucci, il dibattito sulla riforma della legge n. 801, stentava ad avviarsi, ma l’attuale Presidente della Repubblica esprimeva con semplicità e chiarezza alcuni concetti di fondo che si sarebbero poi affermati fino a costituire i pilastri del nuovo “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica”, istituito dalla legge n.124 del 2007.

Fondamentale è l’idea che i Servizi di informazione non sono un strumento “di parte” ma perseguono fini di natura “istituzionale”, perché indissolubilmente legati all’interesse dell’intera collettività nazionale (le parole di Mattarella ripropongono qui in maniera molto diretta l’ordine concettuale disegnato dalla giurisprudenza costituzionale che verso la fine degli anni Settanta aveva aperto la strada all’approvazione della legge “801”).

La visione dei “Servizi segreti” come strumento di una parte era irrimediabilmente legata alla Guerra Fredda e alla conventio ad escludendum nei confronti del Pci che da noi ne aveva costituito il ferreo risvolto politico-costituzionale. Con l’avvio, nel 1996, dell’alternanza al governo del Paese di tutte le forze politiche, era radicalmente mutato il quadro istituzionale in cui per mezzo secolo si era mossa la nostra intelligence, e le considerazioni dell’allora Vice Presidente del Consiglio coglievano con precisione e grande tempestività la necessità di reinquadrare i Servizi di informazione in quella che è l’unica prospettiva che li giustifica in un ordinamento democratico: quella di essere uno strumento amministrativo, sia pure di carattere assolutamente speciale o, come anche si dice, “non convenzionale”, a disposizione del governo in carica per la tutela della sicurezza e dell’interesse nazionale, valori che riguardano tutti i cittadini.

E’ probabile che, alle soglie del nuovo millennio, non fossero molti i politici italiani dediti a questo ordine di riflessioni su come erano cambiati gli scenari istituzionali di riferimento per i Servizi di informazione e su come, di conseguenza, stessero rapidamente maturando i tempi per ripensarne l’intera regolamentazione giuridica.

Con uguale prontezza Mattarella individuava un altro aspetto che avrebbe dovuto caratterizzare la nuova intelligence, vale a dire l’apertura vero l’esterno, sottolineando che “nelle democrazie, tutte le istituzioni, senza eccezioni, possono affermarsi e prosperare solo se sorrette dal consenso dei cittadini”. E dunque, continuava il responsabile pro tempore dei Servizi di informazione, “l’attività di comunicazione deve ovviamente essere svolta tenendo conto delle peculiarità degli organismi informativi. La riservatezza, che deve circondare il concreto operare dei Servizi, non può tuttavia, in nessun caso, diventare un pretesto per ottenere privilegi ed immunità”.

Mostrando di possedere una concezione davvero moderna del rapporto tra la  comunità intelligence e il sistema Paese, il nuovo Capo dello Stato arrivava a dire che i Servizi “potrebbero fornire ai cittadini una serie di informazioni in ordine alle minacce alla sicurezza che sono chiamati a fronteggiare ed agli obiettivi dell’attività informativa”. Le più recenti relazioni annuali presentate dal Governo per illustrare al Parlamento e al Paese i risultati conseguiti dai Servizi nel compimento delle loro missioni istituzionali contengono passaggi assai significativi in tal senso ed è auspicabile che questa tendenza si consolidi ulteriormente, a partire dalla prossima relazione, che darà conto dell’attività svolta nel 2014.

Ma le indicazioni di Mattarella non si fermavano qui: auspicava infatti l’attivazione da parte degli Organismi informativi di un sito web, alla quale si è giunti una decina di anni dopo a seguito dell’approvazione della riforma (ma va detto che “Per aspera ad veritatem” fece il suo debutto sulla Rete proprio in coincidenza con l’uscita del numero che conteneva l’intervista che stiamo commentando) e arrivava poi a considerare la possibilità che i Servizi ricevessero messaggi e fornissero risposte via internet (cosa che in effetti oggi avviene) perché “anche i Servizi devono porsi in sintonia con le domande dei cittadini”.

Infine, anticipando quello che si sarebbe poi rivelato uno dei tratti più significativi della riforma, Mattarella sosteneva che solo la diffusione della cultura dell’intelligence (la legge di riforma ha adottato la meno specifica espressione “cultura della sicurezza”) avrebbe consentito di superare le vecchie diffidenze nei confronti dei Servizi di informazione.

Commentatori e studiosi delle scienze della sicurezza lamentano spesso, e con ragione, una scarsissima diffusione della cultura delle sicurezza e dell’interesse nazionale tra le classi dirigenti e, in particolare, in quella politica. La critica è generalizzata e non riguarda, per la verità, solamente il nostro Paese il, quale, tuttavia, non fa eccezione.

Dunque è motivo di particolare conforto sapere che, in un momento di straordinaria difficoltà del nostro Paese e di crescenti preoccupazioni per la tutela della sicurezza nazionale nei suoi diversi aspetti, il Parlamento ha affidato la più alta carica dello Stato ad un esponente politico che nel suo vasto bagaglio di esperienza annovera anche una sicura conoscenza delle questioni che attengono al corretto ed efficace uso della leva intelligence in quadro di solidi ancoraggi al dettato costituzionale.

Non è capitato spesso in passato, è assai positivo che accada ora, in presenza di scenari interni ed internazionali estremamente preoccupanti


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