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Isis in Libia non si abbatte con le bombe. Parla Chaouki (Pd)

Dove vuole arrivare l’Isis? L’incubo jihadista cresce in Libia, arrivando ormai alle porte dell’Italia e dell’Europa. Dopo la diffusione del video che mostra un gruppo di copti egiziani decapitati dai drappi neri, l’Egitto ha deciso oggi di bombardare alcune postazioni nel Paese, alimentando il dibattito su un possibile intervento militare.

Qual è la posizione di Roma? Che rischi corre la Penisola? E qual è la strategia da adottare per evitare che l’ombra nera del Califfato si allarghi ulteriormente, facendo proseliti?

Ecco cosa ne pensa il deputato del Pd Khalid Chaouki, membro della commissione esteri e responsabile Nuovi Italiani del Partito Democratico, che il 18 febbraio volerà a Washington per prendere parte al vertice internazionale contro l’estremismo convocato da Barack Obama

In un video diffuso ieri, l’Isis è tornata a minacciare l’Italia e la cristianità, mostrando la decapitazione di 21 copti egiziani. Che significa?

Dopo quel filmato, l’Isis si candida, di fatto, a sostituire in Libia le fazioni islamiste. Il nostro obiettivo deve essere quello di aiutarle a ricompattarsi e a proseguire nel processo di dialogo. La formula per possibili coalizioni può essere la stessa adottata in Iraq o anche riconducibile all’Onu. Ma sarebbe grave errore politico trascurare i seppur piccoli passi in avanti compiuti nei round negoziali a Ginevra, ai quali ha partecipato anche la fazione islamista di Tripoli.

Che rischi comporta per l’Italia l’escalation delle ultime ore? Roma dovrebbe intervenire?

Oggi l’attenzione sull’Italia è particolare per la sua posizione geografica, per la sua caratterizzazione di Paese cattolico e per l’impegno diretto in coalizione anti Isis. Giusto che Roma si faccia protagonista di questa preoccupazione, ma è fondamentale non disperdere il lavoro già fatto come Onu e Italia per costruire un consenso tra le parti in causa in Libia, esclusi ovviamente i terroristi. Bisogna valutare i cambiamenti che stanno avvenendo sul terreno. Ciò non significa escludere operazioni militari o di peace enforcing, ma bisogna dare priorità alla politica.

Dopo le dichiarazioni di Gentiloni e Pinotti, Renzi ha cercato di calmare gli animi e frenare gli interventisti. Che ne pensa?

Non dobbiamo dare l’impressione di voler intervenire in Libia per interesse economico o strategico italiano o europeo. Roma e Tripoli hanno collaborazione storica e legami consolidati. Bisogna valorizzare questa relazione e costruire una risposta al terrorismo assieme agli stessi libici.

In risposta al video di ieri, l’Egitto ha iniziato i bombardamenti.

Guai se cedessimo a una risposta di sola vendetta. C’è bisogno di un’azione concordata che punti alla ricostruzione di uno Stato che non c’è più. Sono necessari momenti di confronto internazionale con l’Egitto, l’Algeria, gli Emirati e con chi vuole dare il proprio contributo per la pace. Serve raccordo e non fughe in avanti da parte di nessuno. Il segnale positivo è arrivato: i libici considerano l’Isis estraneo alla loro cultura e dalle fazioni islamiste sono giunti comunicati di rigetto verso la presenza dei jihadisti nel Paese. Da qui bisogna ripartire per creare un fronte comune.

Il 18 e il 19 febbraio lei volerà a Washington col ministro Alfano per il vertice internazionale contro l’estremismo. Che obiettivi ha il summit?

Per quel che riguarda la mia presenza, il primo giorno giorno prenderò parte a un seminario alla Casa Bianca, mentre il giorno dopo parteciperò a un confronto governativo. In entrambi i casi l’obiettivo è quello di elaborare una risposta al terrorismo che non sia solo militare o di intelligence, ma che comprenda prevenzione e inclusione sociale. L’unico modo per debellare questa piaga è quella di lavorare a un consenso a lungo termine sia nel mondo moderato islamico sia in Occidente, affidandoci non solo all’uso della forza, ma anche a quello della diplomazia, della politica e della cultura. È questo l’appello che giunge dal presidente Obama. La sua storia e la sua figura possono aiutare gli Usa a rafforzare il dialogo tra civiltà, togliendo ossigeno al radicalismo.


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