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Vi spiego perché l’Onu non serve in Libia. Parla Luttwak

La crisi libica, le mire economiche e strategiche di Egitto, Russia e Francia, l’ascesa dello Stato Islamico in Nord Africa e Medio Oriente e il collasso del mondo arabo commentati in una conversazione con Formiche.net dallo storico e analista di geopolitica e intelligence Edward Luttwak.

Luttwak, l’ambasciatrice americana in Libia, Deborah K. Jones, ha scritto sul Libya Herald che questa matassa devono sbrogliarla i libici stessi. Perché Washington non adotta la stessa linea in Iraq?

Dopo tanti anni e diverse guerre, gli Usa si sentono responsabili del destino di Baghdad. Non è la stessa cosa per la Libia, dove sono stati trascinati da un intervento scellerato di Francia e Regno Unito.

Dipanare la matassa libica spetta dunque agli Stati arabi?

Non potrebbero mai farcela da soli. Faccio un esempio concreto: l’Egitto non riesce a controllare il Sinai, che è costituito da un territorio che è solo il 3% di quello della Libia. Il supporto degli Stati arabi è importante, ma su un piano simbolico.

Allora cosa fare in Libia?

Bombardare non serve. C’è bisogno di un esercito partecipato da un ampio gruppo di Paesi. E che non abbia a che fare con l’Onu. Per pacificare la Libia serve una vera missione di combattimento, una forza imponente che disarmi tutti.

Come dovrebbe essere organizzata questa missione?

L’ideale è che gli italiani curino l’intelligence, il comando e il controllo dell’operazione. Mentre per quanto riguarda le truppe, in prima istanza tocca a Parigi e Londa portare i loro uomini sul campo. Sono loro che hanno aperto questo Vaso di Pandora. E poi a tutti i volenterosi, tra i quali ci sarebbe sicuramente anche Washington.

Come giudica la strategia del premier Renzi sulla crisi libica? E all’Italia è indifferente l’evoluzione e il futuro assetto di Tripoli?

Certamente all’Italia importano, e molto, i destini della Libia, per ovvi motivi. In questa situazione serve però la massima prudenza. Sarebbe controproducente se il governo italiano si occupasse da solo di un problema di proporzioni internazionali.

Però l’Egitto è partito bombardando. Chi lo sostiene? E con quali obiettivi?

La reazione del Cairo è stata dettata da nervosismo e rabbia per la decapitazione dei cristiano-copti da parte dei jihadisti. Non esite un vero fronte organizzato, ci sono Paesi con diversi interessi e qualche mira economica e geostrategica.

Vladimir Putin sostiene a suo modo l’Egitto. La Russia punta ad avere un ruolo nel Mediterraneo attraverso il Cairo?

Sì, anche. Vorrebbe ritagliarsi un ruolo e in parte riesce. Ma ha pochi soldi e poca tecnologia per portare avanti una strategia efficace. Può dare troppo poco al momento per recitare un ruolo da protagonista.

Mentre la Francia? Oltre alle commesse militari, quali sono le ragioni della sua vicinanza all’Egitto?

Parigi prova a porre rimedio al caos che hanno generato i suoi attacchi. Ha destituito Gheddafi, senza però pensare ad un’alternativa. Quel che accade oggi in Libia è dovuto soprattutto a quell’azione improvvida.

Lo Stato islamico è stato sottovalutato?

Sì, nel senso che non ha bisogno di organizzare la sua espansione militarmente, perché la sua forza è nel brand e nella sua “naturale” legittimità per gli islamici: sono lo Stato Islamico, non l’Isis o l’Isil. Il termine che usano ha un significato. Il loro obiettivo non è regionale. Hanno forte forza attrattiva che gli consente di reclutare volontari ovunque. Ad ogni modo quello dello Stato Islamico è un epifenomeno. Potrà anche morire, un giorno, ma verrà rimpiazzato, perché il fenomeno vero è che stati nordafricani e mediorientali collassano. E se dovesse cadere anche l’Arabia Saudita, sarà caos vero

Perché gli Stati arabi collassano?

Perché sono quasi tutti Stati islamici. E il modello di società islamica è in crisi. Ovunque nel mondo aumentano i diritti civili, mentre loro sono fermi all’età della pietra. Ovunque si crea benessere economicamente, invece loro utilizzano solo le loro risorse petrolifere, senza distribuire ricchezza. Le persone istruite fuggono da quei Paesi, che così segnano da soli il loro futuro.


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