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Veneto Banca, Bpm e Ubi. Così Rossi (Bankitalia) elogia la riforma alla Renzi delle Popolari

Le esigenze di reperire risorse notevoli e in tempi brevi nel mercato dei capitali, legate alle nuove regole fissate dalle autorità di controllo europee, rendono un imperativo la profonda trasformazione delle maggiori banche popolari italiane.

È questo il messaggio emerso ieri nell’audizione del direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi di fronte alle Commissioni riunite Finanze e Attività produttive della Camera, che hanno iniziato l’esame del decreto legge presentato dal governo.

Le difficoltà delle Popolari

Provvedimento che tra analisi critiche, interrogativi e incognite punta a rivoluzionare un mondo fortemente radicato nel tessuto finanziario nazionale.

Ma che in una fase così cruciale appare percorso da turbolenze, come rivelano le perquisizioni effettuate in Ubi nell’ambito di indagini giudiziarie già in corso e il commissariamento della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio da parte del Tesoro, oltre l’indagine su Veneto Banca.

Movimenti anomali?

Bufera a cui deve aggiungersi l’apertura ad opera della Procura di Roma di un fascicolo sulle operazioni e i movimenti anomali registrati attorno all’andamento azionario dei titoli delle Popolari nei giorni a ridosso della pubblicazione dell’iniziativa di Palazzo Chigi.

Attività sospette denunciate dal presidente della Consob Giuseppe Vegas che sempre a Montecitorio aveva promosso la riforma del governo.

La “metamorfosi” della Banca d’Italia

Filosofia confermata e sviluppata da Rossi, a riprova di un forcing esercitato dall’Istituto di Via Nazionale fin dai tempi di Mario Draghi e in contraddizione con la strategia portata avanti per anni da Antonio Fazio.

Un mutamento che ha spinto lo storico dell’economia Giulio Sapelli a parlare di “perdita di indipendenza della banca centrale italiana rispetto ai poteri forti e alle pressioni internazionali finalizzate a rendere le banche popolari preda dei grandi gruppi finanziari”. E di “rimozione del patrimonio culturale e dell’eredità etica di una visione pluralista della proprietà bancaria”.

Capitalizzazioni più facili e veloci

Le nuove regole, ha spiegato al contrario ieri il direttore generale di Palazzo Koch in Parlamento, faciliteranno gli aumenti di capitale per le maggiori banche popolari “tutte le volte che sarà necessario, nella misura e con la rapidità richieste da un mercato competitivo e da una platea più ampia di risparmiatori e investitori”.

Rispetto alla fase precedente alla crisi finanziaria, ha rimarcato Rossi, è maturata la consapevolezza generale dell’esigenza che l’assetto bancario europeo abbia un “cuscinetto patrimoniale robusto”. Pertanto, nell’eventualità di una ricapitalizzazione complessiva è bene presentarsi con una forma giuridica più adeguata alla modernità.

I freni allo sviluppo delle Popolari

A fronte di tutto ciò istituti tradizionali del credito territoriale e mutualistico come il principio “una testa-un voto”, nonché i limiti al possesso di capitale e alla rappresentanza nella governance, costituiscono un freno per gli investitori. Con grave nocumento per il rafforzamento finanziario della banca, che dovrebbe essere pagato anche dai piccoli risparmiatori.

Il capitale delle maggiori banche popolari, ha ricorda l’ex capo dell’ufficio studi di Bankitalia, è stato consolidato in extremis. E a giugno 2014 il volume delle “partite deteriorate”, ovvero dei crediti di difficile restituzione, era pari al 18 per cento dei prestiti.

“No alle alleanze tra gruppi di potere”

L’altra esigenza messa in rilievo da Rossi è il miglioramento della gestione delle banche popolari: “La cui attuale forma giuridica può danneggiare la generalità dei soci, risparmiatori e investitori finanziari a vantaggio di alleanze tra partner di minoranza e gruppi egemoni di potere”.

Convocare assemblee di migliaia di soci guidati da una malintesa visione della democrazia, rileva Rossi, espone a seri rischi di clientelismo. O provoca l’effetto, riscontrato nel 2014, di una partecipazione media di un azionista su 10 alle riunioni generali delle Popolari.

La distinzione tra grandi e piccole banche popolari

La riforma del governo, evidenziano i suoi critici, cancella lo spirito cooperativo ispiratore degli istituti creditizi territoriali. Spirito che a giudizio di Rossi è svanito da tempo per quanto riguarda le 10 realtà più rilevanti.

La banche a vocazione mutualistica, precisa, sono molto diffuse in Europa e nei paesi occidentali. Ed esercitano un ruolo prezioso per la clientela privilegiata di piccole e medie imprese. Ma nel resto del Vecchio Continente prevale il modello delle banche di credito cooperativo attive a vari livelli. Mentre nel nostro paese un ruolo fondamentale lo giocano le banche popolari.

Le quali si distinguono tra istituti di ridotte dimensioni radicati nel territorio e grandi gruppi presenti in tutte le regioni, operativi in un mercato internazionale con una capo-gruppo quotata in Borsa.

“La riforma del governo non tocca le Popolari genuine”

Le leggi italiane mantengono “il gregge sparpagliato” dei primi vicino allo spirito comunitario originario. Mentre per i secondi il decreto legge “non stravolge nulla”.

È pensabile, chiede il dg di Bankitalia, assimilare le grandi Popolari ai 300 istituti che concentrano i prestiti in un area limitata rappresentando una componente rilevante dei crediti erogati nel territorio?

Privilegiare la strada delle fusioni

Un capitolo rilevante concerne i rischi occupazionali derivanti dall’applicazione del provvedimento.

Fra il 2008 e il 2013, ha osservato l’economista, il tasso di lavoratori del mondo bancario è calato di 30mila unità. L’obiettivo della riforma del governo è promuovere processi di aggregazione e fusione per accrescere efficenza e stabilità delle banche. Processi che richiedono l’autorizzazione dell’Istituto di controllo e vigilanza sulla realtà creditizia.

“Il contenimento dei costi ne è una conseguenza inevitabile. Ma l’esperienza degli ultimi anni mostra che la più seria minaccia al comparto scaturisce dalla mancanza di tali misure”.

Sì a correzioni limitate e temporanea

Rossi respinge le proposte di correzione del testo volte a mantenere la natura cooperativa di tutte le banche popolari attribuendo agli investitori istituzionali un ruolo proporzionato al capitale detenuto.

Mentre apre alle ipotesi di limitazione del possesso azionario e del diritto di voto nell’alveo della trasformazione delle Popolari in spa, al fine di non compromettere la loro contendibilità.

Regole che tuttavia “dovrebbero ammettere deroghe in caso di raccolta in tempi rapidi di risorse considerevoli nel mercato di capitali”. E restare in ogni caso “temporanee, per giungere a una piena corrispondenza tra capitale detenuto e controllo degli istituti creditizi”.

Le innovazioni necessarie per le banche a vocazione territoriale

Riguardo le banche popolari più piccole, rimarca l’alto dirigente, l’iniziativa di Palazzo Chigi punta a favorire una governance efficiente e l’accesso al mercato dei capitali grazie all’emanazione di strumenti finanziari partecipativi, all’eliminazione dell’obbligo di scelta degli amministratori tra i soci cooperatori, alla riduzione del numero delle deleghe per partecipare alle assemblee.

Più in generale per questo tipo di istituti creditizi è allo studio un modello di separazione tra banca trasformata in società per azioni e società cooperativa con una fondazione minoritaria nel possesso azionario e nel controllo.

Decreto legge scritto da Bankitalia?

Le critiche più serrate alle argomentazioni del direttore generale della Banca d’Italia vedono protagonisti due rappresentanti dell’opposizione.

Il parlamentare di Sinistra e Libertà Giovanni Paglia punta il dito contro “il tono ben poco neutro della relazione” e chiede polemicamente se il provvedimento del governo “sia stato scritto dall’Istituto di Via Nazionale”. Torna a interrogarsi sulle ragioni del ricorso a un decreto legge. E conferma la convinzione che la soglia degli 8 miliardi di attivo “sia stata concepita per far rientrare nella trasformazione in società per azioni esattamente le 10 banche popolari coinvolte dal provvedimento”.

Il rappresentante del Movimento Cinque Stelle Alessio Villarosa chiede se “l’egemonia prolungata di gruppi di soci minoritari riscontrata nel mondo delle Popolari possa essere combattuta con i patti di sindacati ristretti che controllano le banche commerciali”.

“Un tetto ragionevole”

Riflessioni cui Rossi replica negando ogni ruolo di Bankitalia nell’ispirazione del testo governativo, “pur nella collaborazione tecnica alla sua redazione”.

Lo studioso preferisce non entrare nella scelta dello strumento legislativo adottato, e rivendica la coerenza logica del tetto degli 8 miliardi: “Che contempla la capacità di realizzare crediti e investimenti”.

È un “valore ragionevole – afferma – corrispondente allo scarto netto degli attivi tra le 10 banche popolari maggiori e le altre 27. E riconosce alle assemblee di tutti gli istituti la libertà di trasformare il proprio regime giuridico o rientrare al di sotto del livello fissato”.

L’arretratezza delle banche di credito cooperativo

Le sue parole trovano risonanza nella requisitoria sulle prospettive delle banche locali e di credito cooperativo illustrata da Carmelo Barbagallo, capo del Dipartimento di Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia.

Il quale rileva “le carenze di innovazione e diversificazione dei ricavi da parte delle bcc italiane”. E prospetta l’esigenza di “un’integrazione non più rinviabile per una realtà troppo frammentata e penalizzata dalle ridotte dimensioni”.

Le ragioni di tali carenze vanno ricercate nella “scarsa dialettica all’interno dei board e nell’assenza di effettivi contrappesi ai vertici delle banche di credito cooperativo, nella presenza frequente di conflitti di interesse, nella mancanza di meccanismi di pianificazione, nella fragilità dei controlli interni”.

Cifre allarmanti

L’aspetto di maggiore vulnerabilità degli istituti creditizi locali, rimarca l’alto dirigente di Via Nazionale, è rappresentato dal marcato deterioramento della qualità dei prestiti: “L’incidenza dei crediti anomali sul totale delle risorse erogate è salita dal 10 al 17,5 per cento tra giugno 2011 e giugno 2014. E negli ultimi due anni i conti economici delle banche cooperative territoriali sono stati sostenuti prevalentemente con i proventi derivanti dalla gestione di titoli di Stato”.

Limiti che a suo avviso potrebbero provocare stati di “tensione patrimoniale”.

Per queste regioni il responsabile della Vigilanza della Banca d’Italia esorta le bcc a rinnovare e adeguare le proprie regole al nuovo quadro normativo previsto con l’Unione bancaria europea per tutelare gli interessi pubblici nella gestione delle crisi degli istituti creditizi.


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