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Renzi, Libia e Isis. Chi paga per l’incontinenza parolaia?

La vulgata ufficiale è la seguente: il premier tutto fare, sempre al lavoro per il bene della Nazione, ha messo una toppa dopo le sortite guerresche di due ministri poco accorti su Isis e Libia.

Ohibò. Ma la vulgata, seppure ufficiale, è vera? Qualche dubbio resta. Anzi, più di un dubbio.

Ripercorriamo parole e date.

Il 14 febbraio, in un’intervista a SkyTg24, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha detto che l’Italia è pronta a “combattere in Libia in un quadro di legalità internazionale”, sottolineando che “l’Italia è minacciata da quello che sta accedendo in Libia. Non possiamo accettare l’idea che a poche miglia di navigazione ci sia una minaccia terroristica”.

Parole che scatenano le reazioni dei califfini del Califfato che mettono nel mirino l’Italia.

Le minacce dell’Isis colpiscono Gentiloni, definito “il ministro degli Esteri dell’Italia crociata” in un radiogiornale degli uomini neri diffuso da Mosul.

Il 15 febbraio, con un’intervista al Tg1, il premier Matteo Renzi torna sull’argomento. In Libia – dice – “l’Italia è pronta a difendere un’idea di libertà e anche di diritti”. E aggiunge: “Abbiamo detto all’Europa e alla comunità internazionale di farla finita di dormire, che in Libia sta accadendo qualcosa di molto grave e che non è che siccome noi siamo i primi, i più vicini, quelli che raccolgono i barconi, tutti i problemi possono essere lasciati a noi”.

Parole nel solco di quelle di Gentiloni. Dunque, quella del titolare della Farnesina non era una sortita extra renziana, anzi.

Poi, la retromarcia. Il 16 febbraio, al Tg5, Renzi dichiara: “Non è il momento per un intervento militare”. Bisogna “aspettare l’Onu”. Le parole d’ordine sono “prudenza e attenzione: non si passi dall’indifferenza all’isteria o a reazioni irragionevoli”.

Morale? “Libia, Matteo Renzi raddrizza la linea del governo: invito alla prudenza, per ministri e parlamentari”, è il senso di tutti i titoli di giornali on line e di carta. Ha scritto Huffington Post Italia il 16 febbraio: “Sulla Libia ci si era spinti troppo avanti, quasi a briglie sciolte a dichiarare che l’Italia è pronta a “combattere”, come ha detto il ministro Gentiloni già venerdì scorso, o addirittura a quantificare già il numero di soldati da inviare, “cinquemila”, diceva il ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista ieri al Messaggero o ancora a urlare: “Non c’è più tempo da perdere, il Califfato è alle porte di casa, l’Onu si muova”, come dice il ministro dell’Interno Angelino Alfano oggi a Repubblica“.

Dunque Renzi dà la linea al governo mentre quegli scavezzacollo di ministri parlottavano (e straparlavano) a destra e a manca. Peccato che, come testimoniano le stesse parole di Renzi – pronunciate in concomitanza o prima di quelle dei ministri – le frasi del premier indicavano una linea esattamente coincidente nella sostanza con quelle di Gentiloni e Pinotti. Poi, forse, il Colle ha invitato a rivisitare l’incontinenza parolaia.

Il risultato, al di là delle versioni ufficiali flautate, è che d’un tratto l’Italia da Paese non ostile nei confronti di Isis è diventato un bersaglio del Califfato. Certo, si deve rammentare che i drappi neri a Roma e in Vaticano erano da tempo raffigurati nella propaganda dei tagliagole islamici. Ma le misure di sicurezza adottate nelle scorse ore (4800 militari a vigilare su obiettivi sensibili, come ha spiegato Gentiloni oggi alla Camera) certificano un livello di attenzione ai massimi livelli. D’altronde le ultime informative giunte ai Servizi parlano chiaro: ci sono rischi di vari attentati potenziali, anche con aerei civili pieni di tritolo (come risulta a Formiche.net) e altro ancora, come ha scritto il Giornale con altri dettagli e come testimoniano le notizie dell’Espresso sui due libici ricercati a Roma.

Questo brusco cambiamento di scenario per l’Italia, notano alcuni osservatori ben informati, rottama di fatto quanto finora era stato costruito dal nostro Paese: una posizione equilibrata sulla Libia e sullo jihadismo, un ruolo non in prima fila nella coalizione anti Isis. Infatti gli aerei della flotta italiana in Kuwait non partecipano ai bombardamenti. Anche se, come rimarcano ambienti militari, i velivoli italiani utilizzati nella sorveglianza e nella ricognizione hanno individuato in queste settimane con efficacia circa 500 obiettivi su cui si sono concentrati gli altri Paesi con successo.

Ma con le recenti parole del governo Renzi, questa posizione defilata dell’Italia è svanita. E il rischio attentati è aumentato. A questo punto s’impone una domanda. Chi paga politicamente per questi accresciuti pericoli che sta correndo l’Italia?


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